III -
SPIRITUALITÀ DI S. PAOLO DELLA CROCE
terza parte,
pubblicata
da P. Alberto Pierangioli sul Mensile " AMICI di Gesù Crocifisso" -
gennaio
2002
RIFLESSIONI
DEL P. ADOLFO LIPPI
SULLA SPIRITUALITÀ DI SAN PAOLO DELLA
CROCE, Mistico della Passione
Amore doloroso, dolore amoroso e gioia
La Passione di Gesù è per san
Paolo della Croce "il miracolo dei miracoli del Divino Amore".
"Al santo premeva molto - osserva Martin Bialas - spiegare
che nella contemplazione di Cristo crocifisso, l’anima non recepisce l’amore
e il dolore come due effetti indipendenti fra loro, ma l’amore è
impregnato di dolore e il dolore di amore". Ecco come compendia
questa dottrina in una lettera alla Gandolfi nel 1743:
"L’amore è virtù
unitiva e fa proprie le pene dell’Amato Bene. Se vi sentite tutta
penetrata di dentro e di fuori dalle pene dello Sposo, fate festa; ma vi
posso dire che questa festa si fa nella fornace del Divino Amore,
perché il fuoco che penetra fin nelle midolla delle ossa trasforma l’amante
nell’amato, e mischiandosi con alto modo l’amore col dolore, il
dolore con l’amore, si fa un misto amoroso e doloroso, ma tanto unito
che non si distingue né l’amore dal dolore né il dolore dall’amore,
tanto che l’anima amante gioisce nel suo dolore e fa festa nel suo
doloroso amore" (L II, 440).
In questo brano appare sia il
richiamarsi dialettico dell’amore e del dolore, sia l’unità dell’amante
con l’amato, sia ancora l’unione di tutto questo con la festa e la
gioia. Esso ci introduce nel senso che ha per Paolo l’invito ad andare
oltre le immagini nel far memoria della Passione.
Si tratta di penetrare nel mistero
della croce che è al tempo stesso umiliazione e gloria, via e meta. A
volte Dio, per suo dono, infonde nelle anime le pene della Passione di
Gesù "in nuda fede". È allora che si entra ancor più
profondamente in questo mistero di amore e di dolore. Chiudiamo con un
luminoso brano che il Fondatore scrive al caro discepolo P. Giammaria
Cioni nel 1756. In esso è evidente il legame fra la dottrina della
Passione e la definizione che san Giovanni dà di Dio come carità:
"Il punto che lei non
capisce, di farsi sue per opera di amore le pene santissime del dolce
Gesù, glielo farà capire sua Divina Maestà quando le piacerà.
Questo è un lavoro tutto divino;
l’anima tutta immersa nell’amore puro, senza immagini, in purissima
e nuda fede, in un momento si trova pure immersa nel mare delle pene del
Salvatore ed in un’occhiata di fede le intende tutte, senza intendere,
poiché la Passione di Gesù è opera tutta di amore; e stando l’anima
tutta perduta in Dio che è carità, che è tutt’amore, si fa un misto
d’amore e di dolore, poiché lo spirito ne resta tutto penetrato e sta
tutto immerso in un amore doloroso e in un dolore amoroso: È opera di
Dio!" (L III, 149).
Il
principe dei desolati
Così Paolo della Croce
è stato definito dagli studiosi. Tanto Rosa Calabresi quanto P.
Giammaria Cioni parlano di cinquant’anni di desolazione di Paolo. Lo
stesso Paolo affermava qualcosa di simile quando diceva: "Per
quanto mi ricordo da cinquant’anni non ho passato un solo giorno senza
sofferenze. Si legge di certe anime che sono state nel crogiuolo cinque,
dieci o quindici anni, quanto a me io non posso pensare a quanto ho
sofferto; ne fremo". Al discepolo e confessore P. Giammaria
Cioni scrive espressioni assai drammatiche intorno allo stato in cui lui
si trova: "Le devo domandar perdono se qualche volta scrivo
qualche parola secca, malsonante; poiché mi creda che sono in uno stato
deplorabilissimo e Dio guardi tutto il mondo da tale stato; ma
giustamente soffro queste cose. Vi sono giorni, e sono quasi tutti, che
non so come fare a soffrire me stesso; eppure mi sforzo, e con gran
fatica, a soffrire gli altri, ma sempre manco; onde perdoni questo
povero uomo" (L III, 1812).
Padre Breton fa profonde
considerazioni intorno al "nudo patire" di cui Paolo
parla spesso, un patire privo di qualsiasi consolazione. Non si tratta
di una sofferenza proveniente da calunnie o persecuzioni, ma dal
rapporto con Dio che patisce violenza. Altre volte è sommerso dal peso
delle colpe che vede in se stesso. A sentir lui, egli meriterebbe la
morte per le sue gravi infedeltà. Vorrebbe essere sotto i piedi dei
demoni come se li superasse in malizia. Al limite estremo, egli
sperimenta un non senso generalizzato che spegne le ragioni per vivere e
fiacca l’agire, un non senso che lo terrorizza per come gli appare in
contrasto con Dio autore della vita. Da questo nudo patire sgorgano in
lui gli insegnamenti che egli dà ad altre anime, dopo averne
sperimentato in se stesso la validità:
"Non desideri alcun
conforto, ma il puro beneplacito di Dio. Se ne stia in quel nudo patire
in sacro silenzio di fede e non si lamenti né di dentro né di fuori.
Al più faccia qualche gemito da bambina, ad esempio di Gesù Cristo
nell’orto: "Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt
11,26). Seguiti poi a stare in silenzio di fede e si lasci
martirizzare dal santo amore, giacché il suo stato presente è un
prezioso martirio d’amore, che si fa dal santo amore con povertà e
nudità di spirito, sempre accompagnate dalle spade di angustie e di
abbandonamenti" (L III, 806-807).
"Tale sacro martirio
produce nell’anima due mirabili effetti: uno è di purificarla da ogni
neo di imperfezione come fa il fuoco del purgatorio. Il secondo è di
arricchire l’anima di virtù, massime di pazienza, di mansuetudine, di
alta rassegnazione alla divina volontà, con profonda cognizione del
proprio orribile nulla. In tal forma l’anima, tutta inabitata nel suo
niente, patisce e tace e lascia sparire il suo niente in Dio e gode di
patire e tacere" (L III,816).
Partecipe
della Passione di Cristo
Il messaggio centrale della vita e della predicazione di Paolo è
questo: si vive per partecipare alla Passione di Gesù e così entrare
nella sua stessa gloria. Paolo della Croce, però, è ben cosciente
della forza che hanno i meccanismi dell’io per accaparrare e
strumentalizzare tutto, non esclusi gli stessi doni che Dio dà perché
si faccia un cammino di fede. "La nostra guasta natura -
scrive ai suoi religiosi - diviene ladra dei doni di Dio, cosa al
sommo pericolosa e perniciosa" (L IV, 226).
Scrivendo alla signora Marianna
Girelli, nel 1768, Paolo esprime meravigliosamente l’esperienza
spirituale che lui stesso ha fatto:
"Bisogna morire
misticamente a tutto; il non sentire le inclinazioni naturali e i moti
delle passioni, che non muoiono mai sinché non moriamo noi, non è cosa
di questo tempo, ma bisogna aspettare con pazienza la visita del Sovrano
Padrone. E se le inclinazioni naturali e i moti delle passioni non
muoiono del tutto, restano però talmente mortificati che non sono di
impedimento alla quiete sopradolcissima della santa contemplazione e si
cominciano a provare gli effetti di quella santa morte mistica che è
più preziosa della vita, poiché l’anima vive in Dio una vita deifica"
(L III, 756).
Alcuni si illudono di partecipare
alla Passione di Gesù con una pietà sentimentale e con belle parole.
Paolo sa che alla Passione di Gesù ci si unisce soltanto attraverso la
nostra propria passione: umiliazioni, sofferenze, maldicenze e calunnie.
La sofferenza ha essenzialmente questa funzione nell’economia della
salvezza: permetterci di unire la nostra vita con la vita di Gesù.
Come la vita di Gesù è
essenzialmente mistero, così lo è la vita di ogni cristiano. Questo
viene espresso molto bene da una composizione poetica di Paolo diretta
alla Grazi nell’anno 1743:
Nella croce il sant’Amore
Perfeziona l’alma amante,
Quando fervida e costante
Gli consacra tutto il cuore.
Oh se io sapessi dire
Quel tesoro alto e divino
Che il gran Dio Uno e Trino
Ha riposto nel patire!
Ma perché è un grand’arcano
All’amante sol scoperto
Io che non sono esperto
Sol l’ammiro da lontano.
Fortunato è quel cuore
Che sta in croce abbandonato.
Nelle braccia dell’Amato
Brucia sol di sant’Amore.
Ancor più è avventurato
Chi nel suo nudo patire
Senza ombra di gioire
Sta in Cristo trasformato.
Oh felice chi patisce
Senza attacco al suo patire,
Ma sol vuol a sé morire
Per più amar chi lo ferisce!
Io ti do questa lezione
Dalla croce di Gesù,
Ma l’imparerai tu più
Nella santa orazione. Amen
Sono versi semplici e popolari, ma
pieni di sapienza mistica, nata dall’esperienza interiore. Stando
sulla croce, Paolo insegna la via della croce. Gli studiosi moderni
hanno messo in rilievo l’importanza della partecipazione alla Passione
per Paolo, collegandola ai notevoli studi recenti fatti sulla filosofia
e teologia della partecipazione.
P. Adolfo Lippi
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