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SAN  PAOLO  DELLA  CROCE

 I - SPIRITUALITÀ DI S. PAOLO DELLA CROCE
prima parte
,
pubblicata da P. Alberto Pierangioli sul Mensile " AMICI di Gesù Crocifisso" - novembre 2001

RIFLESSIONI DEL P. ADOLFO LIPPI
SULLA SPIRITUALITA' DI SAN PAOLO DELLA CROCE

Premessa:  Pubblichiamo in diverse puntate queste riflessioni del P. Adolfo Lippi sulla spiritualità di san Paolo della Croce. Il P. Adolfo, attuale provinciale della Presentazione, professore di Teologia della Croce all’Antonianum di Roma, è un profondo conoscitore della spiritualità di san Paolo della Croce, del quale ha scritto un’ottima biografia: "Mistico ed Evangelizzatore: SAN PAOLO DELLA CROCE" (Ed. Paoline). Lo ringraziamo per questa collaborazione. 
Seguiranno in seguito gli studi del P. Martin Bialas. 

P. Alberto Pierangioli

Tra Giansenismo e Quietismo
San Paolo della Croce

Nel tempo in cui è vissuto san Paolo della Croce trionfano il razionalismo, lo scientismo e si comincia a sviluppare il materialismo. Si espande dappertutto uno scetticismo sarcastico e dissacratore, che ha il suo più noto rappresentante in Voltaire, nato nello stesso anno di Paolo.
Quella stessa epoca, tuttavia, fu anche un'epoca di grande passione per la mistica. Basta ricordare la passione e le sofferenze di Pascal e Fénelon o anche il fatto che delle diatribe suscitate dal giansenismo e dal quietismo se ne dovettero interessare re e papi, governi e università. Giansenismo e quietismo esprimono la passione di molti per il rigorismo morale e per le vie mistiche del cammino verso Dio. Alfonso de' Liguori e Paolo della Croce rispondono, in Italia, a queste esigenze nel modo più pacifico e ortodosso e in armonia con il magistero della Chiesa.

Francesco di Sales, Teresa d'Avila, Giovanni della Croce
Suppongo note l'infanzia e l'adolescenza di Paolo e il fervore che lo pervase dopo la "conversione" del 1713; possiamo perciò immaginare con quanto interesse egli divorasse i primi libri spirituali che poté avere fra mano. Le opere di san Francesco di Sales furono probabilmente le prime che conobbe. Da lui Paolo apprese la dottrina del "sacro silenzio d'amore che è un parlare tanto grande alle orecchie dello sposo divino" (L I, 462), come pure la dottrina dell'amore "compassivo" che va a Dio attraverso la via unica del Cristo crocifisso.
"Chi guarda solo la consolazione perde di vista il gran Dio delle consolazioni" (L I, 535), ripete Paolo col Sales. Lo spirito mite del vescovo savoiardo si riprodusse nella mitezza e misericordia che sempre temperarono l'austerità di Paolo. Lo stesso Francesco di Sales fu probabilmente il veicolo attraverso cui Paolo conobbe gli scritti di Teresa d'Avila. Il nome della santa è l'unico che s’incontra nel Diario di Castellazzo. Fin dall'infanzia fu colpito dalla frase della santa: "0 patire o morire". Apprese da lei, particolarmente, i criteri di discernimento dell'orazione e soprattutto la grande stima per la vita di orazione. Capì che s’incontrano pericoli anche nelle vie di Dio, ma quando si vede che i frutti sono buoni, bisogna accogliere i doni di orazione, che non sono un bene privato ma fanno crescere tutta la Chiesa.
Altro autore spirituale che per tutta la vita leggerà volentieri è san Giovanni della Croce, che egli chiama "il principe dei mistici". In Giovanni scoprì la spiritualità della Passione applicata alle vie della contemplazione di Dio. S’incontra veramente Dio quando si rinuncia a tutte le soddisfazioni, anche alle più spirituali. Gesù crocifisso è il testimone perfetto dell'adorazione pura e della contemplazione di Dio solo. Con Giovanni, Paolo approfondisce il discernimento dei cammini spirituali e la diffidenza verso la ricerca di doni straordinari, come visioni, miracoli, locuzioni. Scopre sempre meglio le caratteristiche degli alti gradi di orazione. "Il segno che l'anima deve cessare dai discorsi interiori si ha quando essa gusta di starsene a solo a solo nel seno amoroso del Signore, con una dolce vista di fede, con un silenzio sacro di amore" (L II, 818). "Per mezzo del vostro patire si purifica l'imperfetto e l'anima diviene come un cristallo in cui si riverbera la luce del Sole Divino e resterete tutta in Dio trasformata per amore" (LII,719).
Da Giovanni, Paolo mutua un'espressione e una dottrina che gli saranno tanto care e che esprimono la sua totale apertura a Dio Padre: "stare nel seno del Padre". Il seno del Padre è l'essenza divina dove Gesù sempre abita e anche noi siamo chiamati ad abitare. A quell'altezza cessa il chiasso delle parole umane e si riposa sempre in un silenzio d'amore. Scriveva nel 1733 ad Agnese Grazi: "Se ne stia alla presenza di Dio, con una pura e semplice attenzione amorosa a quell'immenso Bene, in un sacro silenzio d'amore, riposando con questo santo silenzio tutto il suo spirito nel seno amoroso dell'Eterno Dio" (L I,103).

Il carisma della Passione
La coscienza di dover incentrare l'attenzione del suo spirito nella Passione di Gesù crebbe progressivamente nel giovane Paolo Danei. All'inizio sentì di chiamare i compagni che avrebbe radunato "i poveri di Gesù". Povertà, distacco dal mondo, solitudine erano gli ideali che più lo attraevano. Erano, per così dire, negazioni di ciò che vedeva come tanto negativo nella vita cristiana, negazioni delle idolatrie del cuore e del peccato. La prima idea positiva che compare al centro della spiritualità di Paolo è il nome di Gesù al centro del "segno" di cui si vede fregiato, sotto la croce bianca. Segue la veste nera di cui si doveva vestire, con la precisazione del suo significato di "perpetuo lutto" per la Passione e morte di Gesù. Questa spiegazione potrebbe far pensare che Paolo concepisse la Passione unicamente nel suo aspetto negativo di conseguenza e riparazione del peccato. Ma innumerevoli testi dimostrano, al contrario, che Paolo fu uno dei mistici che ebbe più chiaro il valore positivo della Passione, come massima espressione dell’amore di Dio.
Il voto della Passione, che Paolo emise già nel 1721, costituirà la sua personale consacrazione alla Passione, che diventerà ben presto l'elemento distintivo della nuova congregazione, in sostituzione dell'ideale negativo della povertà. Alla scoperta di questa vocazione Paolo arrivò attraverso la personale esperienza del fallimento di progetti maturati sotto l'impulso delle ispirazioni di Dio. In quell'occasione Paolo ebbe anche la chiara intuizione che il "radunare compagni" avrebbe avuto come scopo l'interiorizzazione della Passione. Il "segno" si arricchì poi del ricordo della Passione e del simbolo dei chiodi. Il voto della Passione entrò nelle Regole verso il 1730, nel testo che Paolo preparò per l'esame del suo vescovo, il cardinale Altieri. Da allora in poi tutta la spiritualità del santo gravita intorno al tema della Passione.

La volontà di Dio
Come rileva lo studioso tedesco P. Martin Bialas, sulla base di un accurato studio del gesuita francese M. Viller, la prima espressione della spiritualità della Passione in Paolo è data dalla conformità alla volontà di Dio, che comporta un'irremovibile fiducia nel Padre sull'esempio di Gesù. "La santità consiste nell'essere totalmente uniti alla volontà di Dio", scriveva ad Agnese Grazi (L I,286). E scrivendo a Tommaso Fossi nel 1772, così sintetizzava una dottrina vissuta e predicata per tutta una vita: "L'orazione non consiste in aver consolazioni, lacrime, ecc., né si dà agli uomini forti cibo di fanciulli. È ben vero che il prendere quello che Dio manda e lasciarsi totalmente governare dalla sua infinita Bontà (facendo però noi le nostre parti ed eseguendo in tutto la sua divina volontà) è il meglio" (L I,805).
Che questa conformità non sia passiva rassegnazione, magari razionalizzata alla maniera degli stoici, lo si deduce dal fatto che Paolo distingue tre gradi di adesione alla volontà di Dio: "Gran punto è questo: è gran perfezione il rassegnarsi in tutto al divino volere; maggior perfezione è il vivere abbandonata, con grande indifferenza, nel divino Beneplacito; massima, altissima perfezione è il cibarsi in puro spirito di fede e di amore della divina volontà. Oh dolce Gesù, che gran cosa ci avete insegnato con parole ed opere di eterna vita! Si ricordi che quest'amabile Salvatore disse ai suoi diletti discepoli che il suo cibo era di fare la volontà dell'eterno suo Padre" (L I,491).
È importante vedere come per Paolo la Passione non è soltanto né principalmente una riparazione che Gesù offre alla giustizia offesa del Padre. La Passione parte dal Padre come amore. In questa volontà di beneplacito, Paolo assorbe anche il peccato suo o di altri, che tanto affligge il sofferente, portandolo a pensare che la sofferenza sia soltanto castigo delle colpe.
Scriveva a Marianna Girelli: "Conviene prendere le percosse che vengono dall'alto e soffrirle pacificamente, con amorosa mansuetudine, dalla mano dolcissima del gran Padre celeste. Così passa il temporale che minaccia tempesta e si fa come il vignaiolo o ortolano che quando viene la tempesta si ritira nella capanna fino a quando sia passata e sta in pace. Così noi, in mezzo a tante tempeste che ci minacciano i nostri ed i peccati del mondo, stiamocene ritirati nell'aurea capanna della divina volontà, compiacendoci e facendo festa che si adempia in tutto il sovrano divino Beneplacito. Perda di vista, signora Marianna, ogni cosa creata; tenga l'intelletto ben purgato e netto da ogni immagine e se ne fugga, in mezzo a tanti guai che sono nel mondo, nel seno del celeste Padre per Gesù Cristo Signore nostro, ed ivi si perda tutta nell'immensa Divinità come si perde una goccia d'acqua nel grande oceano: così non vivrà più una vita sua, ma vita deifica e santa" (L III,753). In questo senso egli perfeziona due meravigliose espressioni che aveva avuto care fin da giovane: "Credo che la croce del nostro dolce Gesù avrà poste più profonde radici nel vostro cuore e che canterete: "patire e non morire"; oppure: "o patire o morire"; oppure ancora meglio: "né patire né morire", ma solamente la totale trasformazione nel divino Beneplacito" (L II,440). 
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P. Adolfo Lippi

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