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Omelia di S.E. mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Volterra,
in occasione delle festa liturgica di Santa Gemma Galgani.
Santuario di Santa Gemma in Lucca (16 maggio 2002)

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«Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai potenti ed ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli».

È parola che sembra bella, carezzevole, ed è parola tremenda quella evangelica perché viene a dirci che nell’ordine di grandezza di Cristo non si entra se non si diventa piccoli. E diventare piccoli, secondo il Vangelo, vuol dire diventare discepoli, entrando nel mistero dell’obbedienza di Cristo protratto fino alla morte e alla morte di Croce.

Altare del SantuarioAllora la Croce, che dice insieme peccato, amore e dolore, diventa l’unico possibile alfabeto che il cristiano possa assumere per dire e per dirsi. Sigla San Paolo: «Quando io fui in mezzo a voi, non seppi altro che Cristo e Cristo crocifisso».
Sorelle e fratelli, di questa irripetibile e indimenticabile Chiesa di Lucca, è solo con tale alfabeto che noi possiamo accostarci stasera a questo tesoro di Dio, a questa «Gemma», che Egli ha deposto nel campo di questa Chiesa e di questa città.

Dinanzi all’esperienza mistica che si avvolge e s’affonda nella coltre del silenzio, ogni linguaggio balbetta; la parola diventa bambina e può solo sfiorare e indicare, non certo penetrare o palesare.
Anche noi stasera balbettiamo con piccole parole. Credo che si possa semplicemente dire così: La vicenda di Gemma è una vicenda sponsale, è un patto nuziale sancito nel sangue. Gemma è una sposa di sangue. Nella espressività biblica, la nuzialità è la radicalità e l’esclusività dell’amore. È la profondità e la latitudine di una vita che si consuma nell’atto di amore per l’amato.
Direi che in Gemma è ravvisabile una nuzialità in due dimensioni.

La prima nuzialità di Gemma è verso i peccatori.
Nel suo parlare, nel suo scrivere, ma soprattutto nel suo patire, c’è una intensità ed esclusività di amore di amore verso i peccatori che sconcerta e smarrisce, dice nell’estasi: «La vittima di tutti i peccati voglio essere io, Gesù! O dimmelo, Gesù, che li vuoi tutti salvi. Qualunque sorta di patimenti che tu mi mandi, accetto tutto. Loro ti offendono, e tu sfogati con me. Sei morto in Croce anche per loro, aspettali, o Gesù. Peccatori ne hai tanti, vittime poche. Voglio essere tutta vittima per i peccatori, voglio vivere vittima e voglio morire vittima per i peccatori».

Pala dell'altareMa la solidarietà, la nuzialità di Gemma con i peccatori va inarrestabilmente più avanti, fin quasi a sentirsi lei carica di un’enormità di peccati. È come se essa entrasse dentro tutto il peccato del mondo e lo sentisse pesare sulla propria anima, e lo sentisse bruciare sopra la propria pelle. Ella ripercorre, nella sua vicenda mistica, la strada di Cristo: il Verbo di Dio unisce a Sé, nel vincolo nuziale dell’Incarnazione e della Croce, l’umanità peccatrice, fino ad immedesimarsi in essa, a diventare Lui personalmente, unico innocente, tutto il nostro peccato, tutto il peccato del mondo. 
E qui San Paolo scrive un’affermazione che dà le vertigini ai teologi, ma che appare elementare ai mistici. Scrive Paolo: «Cristo, che non commise peccato, Dio lo fece diventare peccato in nostro favore, perché noi diventassimo in Lui giustizia di Dio».

Così avviene in Gemma. Lei, che a giudizio di Padre Germano, non commise mai peccato mortale, e neppure un peccato veniale deliberato, lei si sente la più grande peccatrice davanti a Dio. Gemma sta di fronte alla Croce di Gesù immedesimandosi ed impersonificandosi nel peccato del mondo, nella remota lontananza delle creature. 
E così, carica di peccato perché sposa dei peccatori, chiama e chiede l’amore dello Sposo; il sangue che è il prezzo dell’espiazione e del perdono, quel Sangue che è lavacro di rigenerazione e di bellezza, dove la Chiesa scioglie ogni ruga e cancella ogni macchia.

La seconda e più decisiva nuzialità di Gemma è verso Gesù e Gesù Crocefisso: una sposa di sangue, dicevamo.

Gesù Crocefisso, perché Lui è «il Velo squarciato», lo svelamento supremo dell’amore; Gesù Crocefisso perché non c’è misura più grande nel dono dell’infinitudine del Dio Trinità che si consuma in un atto sacrificale di amore per la creatura peccatrice; Gesù Crocefisso, perché quelle piaghe sono le «porte sante» dell’accesso, dell’incontro, della comunione; Gesù Crocefisso, perché Egli è lo Sposo di Sangue che trae e avvince a Sé l’amore di Gemma , la sposa crocefissa, nel segno delle stigmate.

E le stigmate di Gemma sono la fioritura corporea, l’evidenza solcata nella carne di questa nuzialità, di quest’abbraccio dello Sposo Crocefisso che tutta l’avvolge e la stringe a sé, secondo le parole trepide e brucianti del Cantico: «La sua mano mi cinge il capo e la sua destra mi abbraccia».
Ma essere sposa del Crocefisso, vuol dire consegnarsi alla misura suprema dell’amore situata nell’abisso del dolore.

Il binomio amore-dolore, tanto frequente nella sfinita letteratura romantica tardo ottocentesca, è invece originalmente ed imperdibilmente cristiano: al di fuori di esso ci sta la filantropia, l’emozione, la commozione, il galateo etico, il calcolo astuto, l’edonismo.
Ma l’annuncio evangelico dice che non si ama senza patire, non si ama senza morire.
Questa è la misura fissata nella Vita di Dio con la Croce di Cristo, questa è la misura fissata nella vita del discepolo con la persona di Maria, Addolorata e Crocifissa ai piedi della Croce del Figlio.

Questo binomio di amore e dolore intreccia l’intera vita di Gemma, tanto che il dolore diventa la strada e la forma dell’amore. È un dolore che oserei definire «totale»: è il dolore fisico, il dolore psichico, il dolore morale, il dolore spirituale fino alla percezione dell’abbandono di Dio e della vessazione satanica sulla propria vita. 
Come Cristo sulla Croce muore di piaghe e di amore, di amore e di dolore, così Gemma nell’ultima stanzetta di via della Rosa, muore di tisi e di amore: l’abisso del dolore s’incontra e si intreccia col picco dell’amore. Davvero, morire d’amore fu l’ultimo segreto di Gemma, e lo scrisse negli ultimi giorni a Padre Germano: «Babbo mio, se lei potesse dire fra qualche giorno: Gemma fu vittima d’amore e morì solo di amore, che bella morte!».

(continua in seconda pagina)

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