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SFOGLIA
LA RIVISTA S. Gemma
Rivista
S. Gemma N.6
Giugno 2003
Pagg. 12-13-14-15
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Pag. 14
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Gemma Galgani, Santa
del Mistero Pasquale
Gesù
e' sempre con me, mi sento tutta in lui: quanto sto bene! (Santa Gemma)
1. Santa Gemma Galgani e' una santa che affascina
sempre chi la conosce, con tutto il suo charme, l'incanto
della sua giovinezza perdura ancora dopo cento anni. Un
giornalista, ed è sorprendente che si tratti di un laico e
per giunta non italiano, ha messo la vergine lucchese in prima
fila, con espressioni di lusinghiero apprezzamento, non privo
di una certa audacia, definendola «la fleur des saints»,
«il fiore dei santi» (cf.
P. Jovanovic, Inchiesta sull'esistenza degli angeli custodi,
Piemme, Casale Monferrato, 1995, p. 250).
Quello che certamente ha dell'eccezionale, è il fatto che a
cominciare da quattro anni dopo la morte, le biografie, le
lettere e le estasi, le immagini con la sua fotografia sono
andate a ruba ed hanno avuto un successo travolgente,
ininterrotto fino ad oggi. Già nel 1922 la Civiltà Cattolica
non aveva dubbi a mettere Gemma Galgani (che ancora non era
ne' beata ne' santa) accanto a santa Teresina del Bambino
Gesù e a Bernardetta Soubirous. Appena trent'anni dopo la
morte divenne beata, e sono passati precisamente 70 anni e due
giorni da allora, il 14 maggio 1933. È stato poi Pio XII,
invece, a canonizzare la stimmatizzata lucchese, nel
1940.
La breve vicenda terrena della Galgani è trascorsa quasi
interamente dentro la caratteristica cinta di mura che
circondano la vostra bella Lucca, sua città natale. Era ben
giusto, anzi doveroso che foste proprio voi, suoi
concittadini, guidati dal vostro Eccellentissimo Arcivescovo,
a dare a questa giovane santa lucchese non tanto il lustro che
merita, di cui i santi non hanno più bisogno, in quanto nulla
manca loro perché sono nella gloria, ma direi piuttosto ad
offrire un ulteriore significativa occasione per fame ancor
più conoscere la vita e l'attualità del messaggio. Mi è
caro quindi congratularmi vivamente con tutti coloro che si
sono impegnati alla realizzazione e alla riuscita di questo
primo centenario della morte di Gemma.
È molto significativo che abbiate portato le reliquie della
santa, proprio qui in questa Cattedrale dell'Arcidiocesi,
centro della chiesa locale, perché come dice il Concilio
Cristo sta al centro della nostra fede, e della vita della
Chiesa, e i santi sono subito accanto a Lui. Nonostante
l'umile riserbo in cui tutta la vita di Gemma si è svolta, i
santi non possono restare nascosti, come «la città sul
monte» di evangelica memoria. L'indimenticato vostro
Arcivescovo Agresti, cui si deve il merito della splendida
originale biografia «Ritratto di un'espropriata», ricordava
un'espressione della Galgani, che mi pare offre una possibile
sintesi al centenario che oggi chiudiamo. Le parole sono
queste: «Vorrei che quando sarò morta tutti dicessero: Gemma
è stata vittima d'amore ed è morta vittima d'amore» (In
Mistica e misticismo oggi. Roma 1979, pag. 22).
E' lei stessa a suggerirci il modo migliore per ricordarla.
E' soprattutto di amore che ci parla colei che amava firmarsi
La povera Gemma, e più propriamente dell'Amore a Cristo, con
la maiuscola. Un giorno sentì quella voce: Gemma, coraggio,
ti aspetto al Calvario... È la grazia più grande che ti
faccio sulla terra, tenerti sul Calvario». E lei sul Calvario
ci rimase sempre, perdutamente innamorata di Cristo, al punto
da voler partecipare con tutta se stessa, spirito e carne, ai
tormenti della sua Passione, convinta, nel suo disarmante
candore, di alleviare così al suo Amato il peso delle loro
atrocità (cf. F. Chiti,
S. Gemma Galgani Innamorata di Gesù Crocifisso, ed. Gribaudi,
marzo 2003, p.6).
Certo le sofferenze che Gemma ha dovuto affrontare, sia
fisiche che mistiche, lasciano allibiti e c'erano giorni in
cui lei stessa confidava, senza falsi pudori, che le sembrava
d'impazzire per il dolore. Chi ha sofferto sa bene quanto di
umano ci sia in questo. Ma ciò che sconvolge nella vita di
Gemma è la forza straordinaria con cui offre tutto, perché
si associa a Gesù «nel pagare per tutti gli uomini».
Illustri studiosi (Fabro, Barsotti, Zof- foli e molti altri)
l'hanno definita una delle più grandi mistiche dei tempi
moderni (cf. ad es. Barsotti in Magistero di Santi, ed AVE,
Roma, 1971, pagg. 132-133), anche se può sembrare
paradossale, ma è vangelo che si ripete. Infatti Dio sceglie
gli umili, non i potenti. Nella Galgani si rivela il mistero
della predilezione divina, infinitamente gratuita e
infinitamente reale, il Signore si dona a Gemma nella misura
della sua povertà. Pochi santi, come lei ripropongono il
paradosso del cristianesimo: la grandezza di un'anima è la
sua semplicità.
2. Non si riesce mai a capire un santo finché non
se ne penetra l'intima sorgente spirituale da cui deriva ogni
segreto inserimento nel mistero divino. Molto utili a questo
scopo sono le pagine della sua autobiografia, delle lettere e
delle estasi, anche perché il linguaggio di Gemma è
estremamente semplice e viene da chi, come lei, vive in modo
naturale il mondo soprannaturale. Anche perché la sua è una
esperienza del tutto singolare e per dirla con Padre Fabro
ciò che lei descrive le viene da un'esperienza «per
direttissima» (C. Fabro,
Gemma Galgani testimone del soprannaturale. Roma s. d., p.
211).
E' per questo che tutto
in santa Gemma è molto essenziale e che l'essenziale in lei
è un puro rapporto d'amore con Gesù. Un amore, quello della
'povera Gemma' per Gesù che trova in ogni pagina della sua
biografia, in ogni rigo delle sue lettere, ancor più in
ognuna delle sue estasi, testimonianze infuocate. Tant'è vero
che, nella sua ingenua semplicità Ella si meravigliava nel
vedere come le persone che stavano davanti al Tabernacolo, in
adorazione dell'Eucarestia, non diventassero cenere, talmente
lei bruciava di amore, e non solo in quei momenti.
Molto è stato scritto sui fenomeni mistici di S. Gemma
Galgani, affinati studiosi se ne sono interessati. Ogni
mistico è un caso a parte, anche se fra di loro vi sono molte
analogie, anche forti, ma santa Gemma è un caso davvero a
parte. Perdutamente innamorata da avere un unico struggente
desiderio: «patire qualcosa per Gesù e con Gesù», dal
quale si sentiva divinamente amata (cf.
T. Zecca, in S. Gemma Galgani, Sola con Gesù solo, ed san
Paolo, 2002, p. 9).
3. Oltre a quanto abbiamo sin qui appena accennato,
così a volo d'uccello, come si può fare in un'omelia,
poiché siamo, liturgicamente parlando, in pieno tempo
pasquale, e non solo per questo, mi piace questa sera
riproporre la bella definizione del Papa Paolo VI, perché
davvero felice e completa, quando attribuì a Gemma il giusto
titolo di «Figlia della Passione e della Risurrezione, vale a
dire figlia prediletta della Chiesa, da lei teneramente
amata» (in Mistica e
misticismo oggi, op. cit. pag. 5-6).
Direi che proprio così
la dobbiamo ricordare, come la santa del mistero pasquale.
Più che mai, ora che sono trascorsi cent'anni dalla morte, S.
Gemma merita di essere conosciuta, in tutta la Chiesa
universale, come la giovane che ha vissuto il mistero pasquale
nel momento della sofferenza, dell'agonia, e della
risurrezione. In effetti la spiritualità di questa Gemma di
santità, fermamente cristocentrica è anche pasquale, proprio
perché attinge direttamente al mistero di Cristo morto e
Risorto.
Non è necessario che lei ne abbia parlato direttamente o
meno, tenendo conto anche dei tempi in cui visse, ma non si
può non vedere nella vita di Gemma un appello contagioso a
vivere il mistero pasquale. Per lei infatti Gesù Cristo era
vivente, di una vita gloriosa; come avrebbe potuto altrimenti
accadere che venissero superati i limiti del tempo e dello
spazio, come con lei frequentemente il Signore mostra di fare?
Non è per nulla artificiale trovare nella santa un radioso
annuncio di fede pasquale. Davvero per Gemma il Cristo non era
un fantasma, e come gli Apostoli, anch'essa viveva, magari
senza pensarci, l'invito del Risorto: «Toccatemi e rendetevi
conto che un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io
ho» (Le. 24, 39).
Ecco di che cosa ci convince santa Gemma, come ogni altro
santo, d'altra parte: che Cristo vittorioso sulla morte ora
vivo trionfa, come ci ricorda la bella sequenza pasquale.
Questo non è poi così ovvio, oggi come oggi, ma un vero
invito a non a fare della nostra fede un insieme di dottrine,
di idee, di principi, di teorie evanescenti, perché questo
non è il cristianesimo. Come Gemma, anche noi siamo chiamati
in quanto discepoli del Risorto, seppure in maniere e forme
diverse, a intrattenere con Cristo Risorto quei rapporti la
cui efficacia va ben al di là di ogni possibilità soltanto
umana, e ad avere con Lui quell'intimità e quell'unione che
nessuna esistenza terrena potrebbe mai da sola raggiungere. Il
Concilio ci ha ricordato che i cristiani sono davanti al mondo
«i testimoni della vita e della risurrezione del Signore
Gesù» (LG 38).
Vero testimone può essere solo chi ha fatto un'esperienza
personale di ciò che testimonia. Non si può testimoniare
soltanto per un vago sentito dire, non è credibile. La
domanda che Gemma faceva a se stessa, vale anche per noi: «Ma
lo amerò proprio davvero Gesù? Eppure ho un forte desiderio
di amarlo, questo sì, vorrei struggermi per amarlo». La
risposta ci farà ancor più consapevoli della chiamata a
vivere non un cristianesimo approssimativo, ma a viverlo in
pienezza, per essere efficaci testimoni del Risorto con la
stessa santità di Gemma, quella santità cui tutti siamo
destinati e che, come il Papa Giovanni Paolo II ci ha
ricordato «è la misura alta della vita cristiana» (NMI,
n. 31). L'altezza cui
santa Gemma è arrivata è comunque anche alla nostra portata.
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