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CENTENARIO GEMMIANO di Jose' Saraiva Martins, Cardinale

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 SFOGLIA LA RIVISTA S. Gemma 

Rivista S. Gemma N.6
Giugno 2003
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Gemma Galgani, Santa del Mistero Pasquale
Gesù e' sempre con me, mi sento tutta in lui: quanto sto bene! (Santa Gemma)

1. Santa Gemma Galgani e' una santa che affascina sempre chi la conosce, con tutto il suo charme, l'incanto della sua giovinezza perdura ancora dopo cento anni. Un giornalista, ed è sorprendente che si tratti di un laico e per giunta non italiano, ha messo la vergine lucchese in prima fila, con espressioni di lusinghiero apprezzamento, non privo di una certa audacia, definendola «la fleur des saints», «il fiore dei santi» (cf. P. Jovanovic, Inchiesta sull'esistenza degli angeli custodi, Piemme, Casale Monferrato, 1995, p. 250)
Quello che certamente ha dell'eccezionale, è il fatto che a cominciare da quattro anni dopo la morte, le biografie, le lettere e le estasi, le immagini con la sua fotografia sono andate a ruba ed hanno avuto un successo travolgente, ininterrotto fino ad oggi. Già nel 1922 la Civiltà Cattolica non aveva dubbi a mettere Gemma Galgani (che ancora non era ne' beata ne' santa) accanto a santa Teresina del Bambino Gesù e a Bernardetta Soubirous. Appena trent'anni dopo la morte divenne beata, e sono passati precisamente 70 anni e due giorni da allora, il 14 maggio 1933. È stato poi Pio XII, invece, a canonizzare la stimmatizzata lucchese, nel 1940. 
La breve vicenda terrena della Galgani è trascorsa quasi interamente dentro la caratteristica cinta di mura che circondano la vostra bella Lucca, sua città natale. Era ben giusto, anzi doveroso che foste proprio voi, suoi concittadini, guidati dal vostro Eccellentissimo Arcivescovo, a dare a questa giovane santa lucchese non tanto il lustro che merita, di cui i santi non hanno più bisogno, in quanto nulla manca loro perché sono nella gloria, ma direi piuttosto ad offrire un ulteriore significativa occasione per fame ancor più conoscere la vita e l'attualità del messaggio. Mi è caro quindi congratularmi vivamente con tutti coloro che si sono impegnati alla realizzazione e alla riuscita di questo primo centenario della morte di Gemma. 
È molto significativo che abbiate portato le reliquie della santa, proprio qui in questa Cattedrale dell'Arcidiocesi, centro della chiesa locale, perché come dice il Concilio Cristo sta al centro della nostra fede, e della vita della Chiesa, e i santi sono subito accanto a Lui. Nonostante l'umile riserbo in cui tutta la vita di Gemma si è svolta, i santi non possono restare nascosti, come «la città sul monte» di evangelica memoria. L'indimenticato vostro Arcivescovo Agresti, cui si deve il merito della splendida originale biografia «Ritratto di un'espropriata», ricordava un'espressione della Galgani, che mi pare offre una possibile sintesi al centenario che oggi chiudiamo. Le parole sono queste: «Vorrei che quando sarò morta tutti dicessero: Gemma è stata vittima d'amore ed è morta vittima d'amore»
(In Mistica e misticismo oggi. Roma 1979, pag. 22). E' lei stessa a suggerirci il modo migliore per ricordarla.
E' soprattutto di amore che ci parla colei che amava firmarsi La povera Gemma, e più propriamente dell'Amore a Cristo, con la maiuscola. Un giorno sentì quella voce: Gemma, coraggio, ti aspetto al Calvario... È la grazia più grande che ti faccio sulla terra, tenerti sul Calvario». E lei sul Calvario ci rimase sempre, perdutamente innamorata di Cristo, al punto da voler partecipare con tutta se stessa, spirito e carne, ai tormenti della sua Passione, convinta, nel suo disarmante candore, di alleviare così al suo Amato il peso delle loro atrocità
(cf. F. Chiti, S. Gemma Galgani Innamorata di Gesù Crocifisso, ed. Gribaudi, marzo 2003, p.6).
Certo le sofferenze che Gemma ha dovuto affrontare, sia fisiche che mistiche, lasciano allibiti e c'erano giorni in cui lei stessa confidava, senza falsi pudori, che le sembrava d'impazzire per il dolore. Chi ha sofferto sa bene quanto di umano ci sia in questo. Ma ciò che sconvolge nella vita di Gemma è la forza straordinaria con cui offre tutto, perché si associa a Gesù «nel pagare per tutti gli uomini». Illustri studiosi (Fabro, Barsotti, Zof- foli e molti altri) l'hanno definita una delle più grandi mistiche dei tempi moderni (cf. ad es. Barsotti in Magistero di Santi, ed AVE, Roma, 1971, pagg. 132-133), anche se può sembrare paradossale, ma è vangelo che si ripete. Infatti Dio sceglie gli umili, non i potenti. Nella Galgani si rivela il mistero della predilezione divina, infinitamente gratuita e infinitamente reale, il Signore si dona a Gemma nella misura della sua povertà. Pochi santi, come lei ripropongono il paradosso del cristianesimo: la grandezza di un'anima è la sua semplicità.

2. Non si riesce mai a capire un santo finché non se ne penetra l'intima sorgente spirituale da cui deriva ogni segreto inserimento nel mistero divino. Molto utili a questo scopo sono le pagine della sua autobiografia, delle lettere e delle estasi, anche perché il linguaggio di Gemma è estremamente semplice e viene da chi, come lei, vive in modo naturale il mondo soprannaturale. Anche perché la sua è una esperienza del tutto singolare e per dirla con Padre Fabro ciò che lei descrive le viene da un'esperienza «per direttissima» (C. Fabro, Gemma Galgani testimone del soprannaturale. Roma s. d., p. 211).
E' per questo che tutto in santa Gemma è molto essenziale e che l'essenziale in lei è un puro rapporto d'amore con Gesù. Un amore, quello della 'povera Gemma' per Gesù che trova in ogni pagina della sua biografia, in ogni rigo delle sue lettere, ancor più in ognuna delle sue estasi, testimonianze infuocate. Tant'è vero che, nella sua ingenua semplicità Ella si meravigliava nel vedere come le persone che stavano davanti al Tabernacolo, in adorazione dell'Eucarestia, non diventassero cenere, talmente lei bruciava di amore, e non solo in quei momenti.
Molto è stato scritto sui fenomeni mistici di S. Gemma Galgani, affinati studiosi se ne sono interessati. Ogni mistico è un caso a parte, anche se fra di loro vi sono molte analogie, anche forti, ma santa Gemma è un caso davvero a parte. Perdutamente innamorata da avere un unico struggente desiderio: «patire qualcosa per Gesù e con Gesù», dal quale si sentiva divinamente amata
(cf. T. Zecca, in S. Gemma Galgani, Sola con Gesù solo, ed san Paolo, 2002, p. 9).

3. Oltre a quanto abbiamo sin qui appena accennato, così a volo d'uccello, come si può fare in un'omelia, poiché siamo, liturgicamente parlando, in pieno tempo pasquale, e non solo per questo, mi piace questa sera riproporre la bella definizione del Papa Paolo VI, perché davvero felice e completa, quando attribuì a Gemma il giusto titolo di «Figlia della Passione e della Risurrezione, vale a dire figlia prediletta della Chiesa, da lei teneramente amata» (in Mistica e misticismo oggi, op. cit. pag. 5-6).
Direi che proprio così la dobbiamo ricordare, come la santa del mistero pasquale. Più che mai, ora che sono trascorsi cent'anni dalla morte, S. Gemma merita di essere conosciuta, in tutta la Chiesa universale, come la giovane che ha vissuto il mistero pasquale nel momento della sofferenza, dell'agonia, e della risurrezione. In effetti la spiritualità di questa Gemma di santità, fermamente cristocentrica è anche pasquale, proprio perché attinge direttamente al mistero di Cristo morto e Risorto. 
Non è necessario che lei ne abbia parlato direttamente o meno, tenendo conto anche dei tempi in cui visse, ma non si può non vedere nella vita di Gemma un appello contagioso a vivere il mistero pasquale. Per lei infatti Gesù Cristo era vivente, di una vita gloriosa; come avrebbe potuto altrimenti accadere che venissero superati i limiti del tempo e dello spazio, come con lei frequentemente il Signore mostra di fare?
Non è per nulla artificiale trovare nella santa un radioso annuncio di fede pasquale. Davvero per Gemma il Cristo non era un fantasma, e come gli Apostoli, anch'essa viveva, magari senza pensarci, l'invito del Risorto: «Toccatemi e rendetevi conto che un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho»
(Le. 24, 39). Ecco di che cosa ci convince santa Gemma, come ogni altro santo, d'altra parte: che Cristo vittorioso sulla morte ora vivo trionfa, come ci ricorda la bella sequenza pasquale.
Questo non è poi così ovvio, oggi come oggi, ma un vero invito a non a fare della nostra fede un insieme di dottrine, di idee, di principi, di teorie evanescenti, perché questo non è il cristianesimo. Come Gemma, anche noi siamo chiamati in quanto discepoli del Risorto, seppure in maniere e forme diverse, a intrattenere con Cristo Risorto quei rapporti la cui efficacia va ben al di là di ogni possibilità soltanto umana, e ad avere con Lui quell'intimità e quell'unione che nessuna esistenza terrena potrebbe mai da sola raggiungere. Il Concilio ci ha ricordato che i cristiani sono davanti al mondo «i testimoni della vita e della risurrezione del Signore Gesù»
(LG 38).
Vero testimone può essere solo chi ha fatto un'esperienza personale di ciò che testimonia. Non si può testimoniare soltanto per un vago sentito dire, non è credibile. La domanda che Gemma faceva a se stessa, vale anche per noi: «Ma lo amerò proprio davvero Gesù? Eppure ho un forte desiderio di amarlo, questo sì, vorrei struggermi per amarlo». La risposta ci farà ancor più consapevoli della chiamata a vivere non un cristianesimo approssimativo, ma a viverlo in pienezza, per essere efficaci testimoni del Risorto con la stessa santità di Gemma, quella santità cui tutti siamo destinati e che, come il Papa Giovanni Paolo II ci ha ricordato «è la misura alta della vita cristiana»
(NMI, n. 31). L'altezza cui santa Gemma è arrivata è comunque anche alla nostra portata.

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