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SFOGLIA
LA RIVISTA S. Gemma
Rivista
S. Gemma N.6
Giugno 2003
Pagg. 9-10
Pag. 9
Pag. 10
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La povera e l'espropriata
Quando
mi vuoi far dei regali, fammi soffrire ... godo quando soffro
con te (Santa Gemma)
«La povera Gemma». Così Gemma si chiamava e si
considerava, così firmava le sue lettere al suo Padre
Spirituale P. Germano e al Confessore Mons. Volpi. È
«l'espropriata di tutto», come rileva Mons. Agresti fin dal
titolo del suo aureo libretto su S. Gemma: «Ritratto
dell'espropriata».
Ciò inserisce Gemma nella grande tradizione dei «poveri di
Javè», dei poveri di Dio e per Dio guidati da Maria, povera
umile, piccola ed espropriata. Il loro canto è il Magnificat:
il canto dell'umiltà e dei poveri, ma anche il canto della
gioia, anzi, il canto dei seguaci della vittoria, il «canto
dell'Agnello» dell'Apocalisse.
Anzitutto Gemma è resa povera ed espropriata oggettivamente e
brutalmente dalle circostanze, che per noi cristiani vuoi dire
per intervento della divina Provvidenza, la quale la volle
mettere duramente alla prova, per prepararla a divenire
perfetta sposa dello Sposo celeste. Dio manda le prove più
dure ai suoi amici più cari, così come le ha mandate al suo
Figlio Unigenito: affinché, «resi perfetti per la
sofferenza» possano amare Dio con la totalità e la
radicalità che egli esige dai suoi santi.
Così fu per la povertà totale ed estrema di Gemma bambina, a
causa del fallimento del padre. E Gemma divenne così «un'escasata»
(per dirla ancora con Mons. Agresti), costretta ad elemosinare
per la sua povera vita, prestandosi ad ogni più umile
servizio, per non essere di peso. Ancora «una servetta»,
come tante grandi sante cristiane, come recentemente anche S.
Faustina, la santa della Divina Misericordia! Gemma bambina fu
poi espropriata radicalmente negli affetti più cari: la
mamma, il babbo, l'amato fratello Gino. Fu espropriata della
salute, per le continue gravissime malattie.
Fu espropriata dell'intimità e del riserbo cui teneva tanto,
con un pudore così forte da rasentare lo scrupolo (perfino
verso il padre, i familiari e le stesse visite dei Santi): e
che fu brutalmente violati da visite mediche anche ostili. Fu
espropriata del desiderio di nascondimento, a causa delle
estasi e delle stimmate visibili. Fu espropriata dell'onore,
con le accuse di falsità e di isteria, di essere strumento
del demonio. Fu espropriata perfino del suo desiderio più
limpido e profondo di potersi chiudere nel «paradiso» di un
monastero, e fu rifiutata più volte: questo nonostante la
promessa solenne del suo Signore che sarebbe divenuta monaca e
monaca passionista (come accaduto, ma solo dopo che è
morta).
Fu infine espropriata della stessa vita, con una morte precoce
a soli 25 anni: dopo esserle stata tolta la gioia della divina
presenza proprio nel periodo più buio e doloroso dell'agonia
(come Gesù nel Getzemani). Ed ella ha sempre accettato tutto
non solo senza ribellione, ma con libera, totale adesione alla
volontà divina. Così iniziò, con la «consegna» della vita
dell'adorata madre ammalata, che il Signore le chiede alla
tenera età di 7 anni, il giorno della Cresima («Me la vuoi
dare a me la mamma? Fui costretta a rispondere di sì»).
Così terminò con la sua stessa morte drammatica, che fu
tuttavia anch'essa una «morte d'amore», (come quella di
Gesù e di Maria, dei grandi Santi). Tutto si giustifica, ed
acquista anzi pienezza di senso, come atto di amore e di
donazione di sé: verso Dio, verso il prossimo, soprattutto
verso lo Sposo povero e Crocifisso. Gemma è quindi povera
perché Cristo è povero. Così S. Francesco amò teneramente
Madonna Povertà, perché era l'amata sposa di Cristo povero.
Gemma è «vittima d'amore» per i peccatori, perché tale è
stato ed è ancor oggi Gesù, sia personalmente, sia nelle sue
membra, sia nell'Eucarestia.
È crocifissa (estasi dolorose, partecipazione alla
Passione di Cristo, dono delle stimmate, morte nell'abbandono
e nella derelizione), perché Gesù è Crocifìsso. Gemma è
stata crudelmente svuotata di ogni bene terreno, e ha accolto
tutto con gioia, perché Cristo «svuotò» se stesso della
sua natura divina con l'Incarnazione. E fu svuotata solo per
essere totalmente e potentemente riempita della vita nuova in
Cristo Gesù — Gemma sola per Gesù solo.
Infatti, le rinunce, le ascesi, le sofferenze, le prove, hanno
senso solo se vissute con amore e per amore, e non certo senso
solo se vissute con amore e per amore, per un assurdo ed
anticristiano disprezzo verso le cose belle del mondo (dalle
quali al contrario anche S. Gemma ha sempre avvertito il
fascino): perché esse diventano «spazzatura» (con S. Paolo)
solo a confronto dell'incontro con Dio ed il suo Cristo. La
santità cristiana ha quindi il suo esclusivo fondamento in
Cristo e nell'Imitazione di Cristo.
Ma in Gemma — come in tutti i grandi santi ed in particolare
nei mistici, vi è ben più che l'imitazione: vi è la realtà
vera dell'unione con Dio, anzi più concretamente con
l'Uomo-Dio, con il suo Gesù Cristo. Perché solo un'unione
piena con Lui può portarci alla vera imitazione, alla
trasformazione, alla divinizzazione come cristificazione.
E l'unione piena, totale, è, per costante insegnamento (sia
della Bibbia che dei santi e dei mistici in particolare), solo
quella sponsale delle «nozze mistiche», di cui le nozze tra
uomo e donna sono sacramento. Questa è la chiamata più alta,
che arriva alla eroicità e alla pienezza nei Santi, ma è
rivolta anche a tutti noi, poveri cristiani che ad essa
rispondiamo, come possiamo. Nel suo Diario, Gemma racconta con
semplicità la sua vocazione all'età di 17 anni.
«Mi avevano regalato un orologio d'oro con la catena; io,
ambiziosa com'ero, non vidi il momento di mettermelo e di
uscire fuori... Vidi un Angelo che serio mi disse: «Ricordati
che i monili preziosi che abbelliscono la sposa di un Rè
Crocifisso altri non possono essere che le spine e la
croce»... Mi riproposi per amore di Gesù, e per piacere a
Lui, di non portare più, e neppure parlare più, di cose che
sanno di vanità. Avevo un anello pure al dito, mi tolsi pure
anche quello, e da quel giorno non ho più avuto nulla».
E, da allora, indossò la famosa mantellina e visse povera e
senza nulla. Certo, la vocazione di Gemma è quindi
eccezionale, e radicale è la sua risposta, non facilmente
imitabile e generalizzabile. Gemma sola per Gesù solo, è un
programma aspro e forte, forse anche eccezionale. La
concentrazione d'istologica e passiologica di Gemma è
veramente totale: come in S. Paolo Apostolo, come in S. Paolo
della Croce, ma anche con maggiore radicalità ed
esclusività.
Essa ha un solo desiderio profondo, del quale ha anche paura
perché le sembra troppo alto per sé, indegna e povera
creatura: quello di divenire sposa crocifissa del suo diletto
Sposo Crocifisso. Ella desidera essere «vittima d'amore» con
Gesù Vittima, perché solo così può consolare il suo sposo
sofferente, partecipando ai suoi dolori: ma il dolore è
gioia, se allieva quello di Cristo, ed il vero suo dolore è
solo quando Cristo non è presente.
Non sembri solo eroico ed eccezionale tutto questo, perché è
conforme alla stessa esperienza umana dell'amore, se
correttamente inteso come amore oblativo, capace di portare al
dono di se stessi per gli altri. Le donne che «hanno
intelletto d'amore» sanno per esperienza diretta che
preferiscono soffrire loro piuttosto che le persone che amano;
e soffrono spesso proprio perché non è loro possibile
assumere direttamente su di sé le sofferenze altrui, se non
per «compassione»: così come è successo alla Madonna ai
piedi della Croce, modello di ogni nostra autentica
«compassione».
E vi è poi anche la figura del Cireneo che, seppure a ciò
costretto, è stato in grado di aiutare Gesù a portare almeno
un pò la sua Croce. Essere «vittima d'amore» per Cristo,
per Dio e per i fratelli, pagare un po' almeno anche per loro,
non solo per i nostri peccati ma anche per il «peccato del
mondo»: è' una follia anche il solo parlarne, oggi? Forse,
ma grazie a Dio, tali «vittime d'amore» sono sempre
esistite, esistono ed esisteranno: e sono esse che salvano il
mondo, in stretta unione corredentrice alla Passione
salvatrice di Cristo. Tale è stata certamente Gemma, durante
tutta la sua povera grande vita. Ma la richiesta di Cristo è
rivolta anche a ciascuno di noi: aiutarlo a portare la sua
Croce, o quantomeno stare coraggiosamente ai piedi della Sua
Croce, senza scappare; soprattutto offrirgli un luogo (il
nostro cuore!) dove poter «posare il capo» e riposarsi
almeno un po', perché il Cristo «non ha un luogo dove posare
il capo».
Questo chiede, questo implora Gesù Cristo dai suoi eletti,
almeno dalle persone più generose: di prendere su di noi
qualcuna delle sue spine e dei suoi dolori, di condividere la
sua Passione; o perlomeno più semplicemente di abbracciarlo,
di stringerlo a noi, di consolarlo, di amarlo. Lo chiede a
tutti indistintamente e senza eccezioni, perché la sofferenza
è indispensabile e necessaria ed anzi da lui benedetta come
sua sequela: «chi vuoi venire dietro a me, prenda la sua
croce e mi segua».
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