E'
bene fermarci su alcuni aspetti del linguaggio che e' proprio non
solo a Paolo ma a tutti i mistici. L'uso abbondante del
superlativo 1 negli
attributi che riguardano Dio e il divino. Il superlativo vuol
indicare l’impossibilità di esprimere adeguatamente quello che
il mistico avverte della grandezza di Dio e del suo amore
salvifico.
Il superlativo a volte viene usato riguardo alla propria finitezza
e limitatezza per dire che non si riesce ad esprimerla
adeguatamente giacché tale limitatezza e' conosciuta alla luce
dell'infinita grandezza e santità di Dio. Paolo si consolava
"che il nostro gran Dio, sia quell’Infinito Bene che è e
che nessuno possa lodarlo ed amarlo abbastanza come merita" (Lettere
I, 296).
<Difficilmente, scrive Barsotti, un'esperienza
mistica si lascia descrivere in termini corretti 2
>. Paolo infatti a volte scrive: "Gran cose vorrei
dirvi, ma resto muto. Ah, che non so parlare! vorrei quello che
non so dire. Ah! mio grande Iddio, insegnatemi voi come ho da
dire" (Ivi).
Paolo per esprimere le ineffabili certezze divine
che sperimentava, ricorre alle immagini e tra queste predilige
l'immagine del bambino che, con gioia, succhia il latte dalla
madre e con fiducia si addormenta tra le sue braccia mentre
continua a tenere la bocca attaccata al capezzolo della mammella.
Riprende spesso l’immagine del volo verso Dio; l’immagine del
fuoco che consuma, purifica, incendia, riscalda e lo vede in
relazione al fuoco dell'amore di Dio Padre rivelato da Gesù
specialmente nella sua passione e che egli desidera per se' e per
ogni persona 2.
Usa spesso anche l'immagine della cera che si liquefa al fuoco per
indicare la fusione provocata dalla carità di Dio nell'anima e
che la dispone a conformarsi a Gesù e fondersi con lui.
Il mare che contemplava dall’Argentario e che aveva solcato
tante volte con le fragili barchette aiutava Paolo ad esprimere l’immensità
dell’amore di Dio, del dolore di Gesù, del fuoco di amore che
desidera bere; l’immensità di Dio in cui perdersi per amore e
ritrovarsi nella verità della divina origine
3.
Paolo usa anche la parola "ecc." per
indicare che voleva dire di più ma non poteva perché
inesprimibile quando parlava degli attributi divini o delle cose
grandi che il Signore compie nelle anime fedeli.
La parola "ecc." invece quando parla di affari indica
che avrebbe altre cose da dire ma che il corrispondente puo'
capire da sé, oppure egli non avendo tempo non le scrive perché
non le ritiene così essenziali per il momento.
Parlando del linguaggio mistico ci si richiama
alla direzione spirituale di Paolo. Egli fu un valente ed efficace
direttore di anime anche se non poté esercitare tale servizio
secondo le richieste, perché era astretto da altri obblighi verso
la congregazione e il ministero della predicazione. Per quanto
riguarda questo settore rimando il lettore agli studi esistenti
4.
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1 STANISLAS
BRETON, cp., Superlatif et nJgation. Comment dire la
Transcendance?, in <Revue Sc.Ph. Th.> 78 (1994) 193-202.
Cfr anche Massimo Baldini, Il linguaggio dei mistici,
Queriniana Brescia 1990.
2 Sull'uso
dei simboli cf PAUL FRANCIS SPENCER, cp., The Role of Symbol in
passionist spirituality, Rome 1992.
3 Leggere
le belle osservazioni di GIUSEPPE COMPARELLI, S. Paolo della
Croce da Napoli a Roma. Saggi, Ed. Progetto Gutemberg 1994,
pp. 238-250. Per la lettura grafologica della scrittura di Paolo:
GABRIELE CINGOLANI, S. Paolo della Croce. Biografia dalla sua
grafia, Ed. Eco, S: Gabriele 1995.
4 SILVAN
ROUSE, c. p., Reflections on spiritual direction in St. Paul of
the Cross, Rome 1982. BERNARDINO NARCISO BORDO, c.p., La
Direzione spirituale di S. Paolo della Croce, Roma 1995.
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