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Napoli,
22.03.2002
Carissime
Consorelle,
si avvicina la S. Pasqua, in cui celebreremo, come ogni anno, non solo la risurrezione di
Gesù, ma anche
la nostra. Sperimenteremo la gioia per la risurrezione di Gesù, solo se
ci apriremo all’amore che Egli vuole effondere in noi mediante lo
Spirito Santo per renderci vivi.
La vita, che risorge dal sepolcro, invade tutto l’universo e si comunica
agli uomini e alle donne perché vivano della vita stessa di Dio. Così
potremo gridare con gioia come l’apostolo Paolo: non sono più io che
vivo, è Cristo che vive in me.
Ma Cristo vive in noi se non anteporremo nulla all’amore per Lui: un
amore che non è solo contemplazione del Crocifisso o adorazione dell’Eucaristia,
ma venerazione della grazia con cui egli stesso è presente in ogni
consorella.
Cristo Risorto ora vive tra noi e,
come fece con i primi discepoli chiamati a stare con Lui, rende sempre
più salda l’unione delle persone nella comunità; se queste s’impegnano
decisamente a lasciar morire quello che è puramente umano, a purificare
i propri sentimenti, testimoniano veramente la presenza del Cristo
vivente nel mondo. I primi cristiani vivevano secondo questo dinamismo,
creato in loro dal Cristo, tanto che strappavano parole d’ammirazione
in quanti li avvicinavano: "Vedete come si amano!".
Particolarmente nell’Eucaristia Cristo diviene più presente tra noi e crea tra tutti
quell’unità, che ha implorato dal Padre nella preghiera sacerdotale (Gv,
cap. 17) e che si manifesta nel corpo ecclesiale e quindi in ogni
comunità che è porzione di Chiesa. Sono una stridente stonatura le
fazioni, le condanne reciproche, i contrasti, che con un po’ di buona
volontà e prendendo con tutta serietà il comandamento dell’amore si
potrebbero superare.
La presenza del Cristo vivente nella comunità monastica ha il potere di
unire tutte le consorelle in un solo corpo, nonostante l’età, la
cultura, la razza, dimostrando chiaramente ad un mondo di divisioni, di
contrapposizioni, d’emarginazioni, che è realizzabile la convivenza
nell’accoglienza reciproca. La comunità diventa sacramento di una
grazia che trasforma l’umano nel divino.
Cristo è presente nella comunità, sta ad ogni consorella saperlo e volerlo
incontrare, anche se la fragilità di ognuna, come retaggio del peccato
originale, può velarlo. Allora ognuna sa di dover amare la comunità,
così com’è, composta di persone sincere nel tendere alla santità,
ma che risentono del peso della natura umana.
Il Cristo vivente unisce con coloro che condividono lo stesso carisma e
così si ritrovano ai piedi della croce, pur vivendo in monasteri
diversi: nessun monastero è una cittadella, ermeticamente chiusa in se
stessa, fino a far ignorare la vita ed i problemi delle consorelle
geograficamente distanti. L’amore di Cristo, se c’è veramente, non
fa chiudere il proprio cuore, ma spinge alla comprensione e alla
condivisione.
In questa prospettiva va visto il desiderio della S. Sede, per la quale
la permanenza della vita contemplativa è una ricchezza della Chiesa,
che si arrivi alla costituzione di una federazione.
Con questi pensieri rinnovo i miei auguri per la S. Pasqua.
Appena possibile farò una visita fraterna a tutti i monasteri.
Il Cristo, nostro amore crocifisso per tutti e risorto, sia la vostra
gioia.
P. Stanislao Renzi, C.P.
Superiore Provinciale
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