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Napoli,
21.03.2002
Carissimi Confratelli,
nell’imminenza della Pasqua
desidero comunicarvi degli stimoli per una riflessione che ci apra a
viverla, non come una data annuale, ma come evento di grazia per quella
costante risurrezione, che è stata attivata in noi dallo Spirito del
Cristo Risorto, il quale ci aiuta a leggere il nostro tempo ed a cercare
nuove risposte alle sfide poste alla vita consacrata dall’odierno
contesto socio-culturale.
Il tempo quaresimale, che volge al
termine, è il momento favorevole per la conversione come incontro con il
Dio vivente, per conoscerne i pensieri e le vie, ed essere così
illuminati sul percorso da Lui tracciato per il nostro cammino quotidiano.
Non si tratta tanto di una
riflessione puramente teorica, quanto di una sollecitazione che ci viene
dalla situazione reale in cui si trova la nostra Provincia oggi, che non
è differente da quella di altri istituti religiosi in questo tempo in cui
la vita consacrata, come da molte parti si va dicendo, sta attraversando
una crisi che, nel trapasso epocale della nostra storia, sa di transizione
profonda. I religiosi sono provocati a fare l'autocritica, anche se v'è
oggi una forte resistenza a farla. Si preferisce ignorare la crisi. Se ne
cercano spiegazioni e colpevolezze: nella società secolarizzata, nella
cultura moderna impermeabile ai valori evangelici, nei superiori
incompetenti o nei sudditi insubordinati. Non se ne vuole vedere la
profondità, affermando che si tratta di una situazione congiunturale.
Dobbiamo fare un’autocritica per prendere coscienza dei mali che ci
angustiano e dei rimedi possibili in questo momento critico. La crisi
presenta un doppio aspetto: 1° un momento difficile e incerto; 2° un
tempo di svolta e di cambiamento. La vita consacrata (vita e azione) si
situa nei tempi e nei luoghi della storia con tutti i processi, tendenze,
fenomeni… che in negativo o in positivo condizionano la vita d’ogni
uomo. Si può uscire dalla crisi, ma solo a condizione di accettare la
necessità di cambiare in radice, di rinnovarsi. Il rinnovamento, secondo
il n. 13 di Vita Consecrata è un periodo di speranza, di tentativi
e proposte, ma anche di tensioni e di travagli. La difficoltà a
realizzarlo non deve indurre scoraggiamento, ma nuovo slancio per
riprendere il cammino. È un cammino di conversione: "Un
evangelizzatore è, prima di tutto, una persona che si lascia interpellare
dal Vangelo. Senza la nostra conversione spirituale tutte le riforme,
anche, le più necessarie e ben intenzionate, vanno a cadere; senza il
nostro rinnovamento personale cadono in un attivismo vuoto. Senza
l'ascolto della Parola, senza la volontà di Dio, senza una continua
conversione e purificazione della nostra vita, non ci sarà rinnovamento
nella Chiesa" (Kasper) ed, io aggiungo, non ci sarà rinnovamento
nelle Comunità, nella Provincia.
Per fare dei passi concreti non è
necessario appoggiarsi su progetto di proposte e su programmazione.
Programmare è saggezza, ma con tutte le programmazioni degli ultimi
decenni non s’è registrato, a mio avviso, quel vero salto di qualità
che consiste nell’acquisizione di una più precisa identità di
religiosi. Ci vuole impegno serio di rinnovamento costante; altrimenti c’è
il disinteresse per il cammino progettato. La stessa sorte potrebbe
toccare alle conclusioni del prossimo capitolo provinciale, che va
tuttavia preparato maturando atteggiamenti di disponibilità per un deciso
rinnovamento. Tale scopo dovrebbe essere un forte stimolo a fare un’autocritica,
diretta non tanto ad una diagnosi della situazione attuale quanto a
cogliere le potenzialità latenti per imprimere un rinnovato dinamismo
alla nostra vita.
L’autocritica va fatta anzitutto da
ciascuno di noi, senz’altro personalmente, ma anche nel dialogo
comunitario. In un tempo di scarsità delle vocazioni e di richieste di
fare esperienze fuori della comunità, anziché logorarci in lamentele,
dovremmo piuttosto sentirci tutti interpellati sulla nostra vocazione: la
stiamo vivendo in modo da curare la qualità della vita nelle comunità,
perché continuino ad avere incidenza evangelica? Noi, che siamo tanto
immersi nelle attività apostoliche, a volte con un frenetico attivismo,
siamo convinti che la prima forma della missione affidataci è la vita
consacrata vissuta nella fedeltà agli impegni assunti da ciascuno nel
momento solenne della professione religiosa che c’inseriva in una
comunità segnata da un carisma specifico? Il monito del Papa è
categorico: "La vita spirituale deve essere dunque al primo posto nel
programma delle Famiglie di vita consacrata, in modo che ogni Istituto ed
ogni comunità si presentino come scuole di vera spiritualità evangelica"
(Vita Consecrata, 93). È urgente, nella nostra provincia,
impegnarci tutti a fare una riflessione seria e operare scelte comunitarie
precise e motivate per recuperare la spiritualità e rendere presente nel
mondo e nella Chiesa la sequela di Cristo in fraternità e comunità, con
la doppia fedeltà alla contemplazione e all’azione.
Nella relazione introduttiva al Sinodo
sulla vita consacrata, il Card. Hume così s’esprimeva: "la prima
grande sfida rivolta alla vita consacrata riguarda la spiritualità,
proprio perché è il cuore della vita consacrata, indica il suo
contributo prioritario alla Chiesa, ed è la sorgente del dinamismo
apostolico. Con essa s’indica il rapporto personale con Cristo
attraverso la sequela, il primato dato a Dio attraverso la consacrazione,
la disponibilità all'azione dello Spirito. Essa si esprime nella
contemplazione, nella preghiera, nell'ascolto della Parola di Dio,
nell'integrazione delle diverse dimensioni della vita personale e
comunitaria, nell'osservanza fedele e gioiosa dei voti. Non c'è
rinnovamento senza un risveglio di spiritualità autentica… Occorre che
i consacrati siano testimoni di spiritualità, capaci di parlare delle
cose di Dio basandosi sull'esperienza propria e diventino guide di cammino
interiore, che le case religiose non siano solo punti strategici d’irradiazione
missionaria, ma anche scuole pratiche di spiritualità...".
Dice, molto giustamente Enzo Bianchi, che
"solo una conversione in atto da parte della vita religiosa può
presentarsi agli altri chiedendo un mutamento, un ritorno: religiosi
mondani possono soltanto incoraggiare gli uomini a restare quel che sono
impedendo loro di scorgere una salvezza efficace e depotenziando le forze
di quel vangelo che si vuole portare nel mondo.... I religiosi devono
essere testimoni di un Dio al quale sappiano parlare e non di un Dio del
quale soltanto parlino, un Dio che essi conoscano e frequentino
assiduamente, senza dimostrazioni, come se vedessero l'invisibile... Chi
canta con arte e convinzione per questa generazione le parole del salmo:
‘il tuo amore, Signore, vale più della vita ?’ se non i religiosi?".
"Il mondo non vede Dio, ma può vedere un’immagine di Dio. Quando
la nostra vita sarà saporosa per il mondo, sarà più facile parlare
della fede" (Rupnik, Dall’esperienza alla sapienza – profezia
della vita religiosa, Lipa, Roma 1998, p. 58).
Dobbiamo ammettere che molto spesso
le nostre vite non esprimono il volto di Cristo, che l'individualismo, il
soggettivismo, un certo infiacchimento spirituale, prodotto da un avviato
‘imborghesimento’ della vita, che porta a renderla sempre più comoda
e confortevole, privandola di austerità e sobrietà, si sono annidati
nelle pieghe del nostro essere e facciamo fatica a scrollarci di dosso
certe abitudini, un determinato stile di vita assunto senza vere
motivazioni per cui anche il volto splendente di Cristo, che dovremmo
manifestare, spesso è sbiadito e offuscato.
Il nostro carisma ci richiama la
croce del Cristo, e 1a parola della croce, dà vera efficacia alla nostra
fede, essa sola è capace di rendere profetica la nostra fede. "Dobbiamo
cambiare modo di pensare e di agire, fissando lo sguardo sul volto di
Cristo crocifisso e facendo del suo Vangelo la quotidiana regola di
vita", chiedeva il Papa con forza ai credenti nel messaggio per la
quaresima del 2001. La sosta contemplativa davanti al Crocifisso riporta
sempre alle motivazioni della consacrazione totale a Dio e impedisce
quell'ottundimento della coscienza, in cui non si afferrano più le
esigenze dell'amore di Dio nella sequela del Cristo crocifisso e neppure
si è capaci di esprimere la radicalità evangelica nella vita ordinaria.
Se viene meno la contemplazione del Crocifisso, non ci si sente più
raggiunti dal suo amore e così non si è più in grado di esserne e di
farne memoria. Si resta passionisti solo ‘nominalmente’.
Una tale considerazione
dovrebbe inquietarci. Forse neanche ne siamo capaci, a motivo di quell’indifferenza
che ci accomuna con tanti cristiani divenuti ormai refrattari al Vangelo.
Non possiamo disattendere la sfida posta a noi dal neopaganesimo: la
nostra deve tornare ad essere ‘una vita secondo il vangelo’. Non solo
nell’intenzione, ma nella pratica. Essere vita, prima di valutarsi per l’efficacia
delle sue realizzazioni. Ed esserlo evangelicamente: ossia, una maniera d’essere
e di vivere tutto l’umano che presenta lo stile inconfondibile dello
stile di Gesù. Sembra questo il primo aspetto del complesso processo di
ricerca, esperimenti e trasformazioni, voluto dal Concilio che provocava
la vita religiosa al ‘ritorno alle fonti’.
Il ‘ritorno alle fonti’ non poteva
trasformarsi in un’esaltazione mitica del passato, ma a poco a poco s’andò
rivelando come appello irresistibile a ricreare la vita religiosa per
affrontare il futuro. Quest’appello era un’esigenza sempre più chiara
di "ritorno al vangelo" che prendeva la vita religiosa nella sua
totalità, in tutti gli aspetti e dimensioni. S’avviarono perciò
ricerche nelle quali v’era l’esigenza sempre più chiara d’autenticità
evangelica. Oggi siamo consapevoli che il futuro della vita religiosa si
trova nel ritorno al vangelo.
Non è difficile dire in che cosa
consiste questo richiamo al vangelo. Consiste già in uno studio
quotidiano della Parola, sia da soli che insieme. Sta qui la questione
cruciale della vita religiosa. Troverà la sua identità solo tornando a
quel che è tanto semplice ed essenziale come il vangelo. Così fu nelle
sue origini. L’attrazione per un vangelo sine glossa e la
passione irresistibile per la persona di Gesù caratterizzano l’esperienza
fondante dei fondatori. Da quest’esperienza s’intende il loro stile di
vita e la loro ansia d’evangelizzazione.
Il nostro Santo Padre, che ebbe un
chiarimento progressivo del proprio carisma nella sua vicenda personale,
intese fondare una Congregazione, in cui tutti fossero grandi operai e
trombe sonore per pubblicare al mondo l’amore infinito di Gesù Cristo,
mostratoci specialmente nella santissima sua Passione e Morte (cf. Lettere,
ed. 1998, p. 607). Desiderava che i suoi religiosi fossero "zelanti
operai, veri poveri di spirito e staccati da tutto il creato", "uomini
santi, acciò come trombe, animate dallo Spirito Santo, vadano predicando
quanto ha fatto e patito Gesù per amore degli uomini" (Ivi, p. 771).
Nella pratica dei consigli evangelici,
abbracciati per amore e vissuti nel modo di Cristo, si compie il vero
ritorno alle fonti, alla radicalità evangelica, scelta con solide
convinzioni personali e come impegno ad immergersi nelle situazioni con la
logica dell’incarnazione, per portare tra gli uomini e per gli uomini il
frutto della sequela del Cristo. Il passionista è l’uomo che fa del
mistero pasquale, nucleo del vangelo, il centro della propria vita (cf.
Cost. 65).
Vogliamo, intanto, interrogarci: sentiamo un
vero tormento o smarrimento per la situazione in cui ci incontriamo oppure
non ne proviamo alcun’afflizione? Viviamo forse tranquilli, esentati
peraltro dai gravi problemi che angustiano tante famiglie? Siamo
consapevoli che le persone, che ci avvicinano, debbono ravvisare in noi
uomini veri, uomini vivi, uomini liberi grazie alla sequela del Cristo? La
nostra testimonianza è tale da sollecitarli a convertirsi a Cristo, a
cambiare mentalità, ad assumere la logica del Vangelo?
Carissimi confratelli, ho voluto solo avviare
una riflessione sulla nostra situazione, indicando però nella sfida della
radicalità evangelica il modo di affrontarla. Intanto ognuno deve
sentirsi provocato a riconoscere con umiltà la responsabilità propria,
senza imputare ad altri delle colpe. Non saremmo nelle migliori
disposizioni per fare il primo indispensabile passo per un futuro più
rispondente alle esigenze della vocazione passionista.
In poche parole, al fondo è
questione di fede, di adesione al Cristo, al cui amore nulla si deve
anteporre: "se al centro non c’è il Cristo vivente, tutto il resto
diventa una specie di commedia" (Rupnik, op. cit., p. 60). Solo se si
entra nel cammino dell’amore e si è presi in una relazione d’amore si
ha la certezza che, partecipando alla morte di Cristo, si conosce la
potenza della sua risurrezione.
Con l’augurio che su ciascuno di
voi il Signore Risorto effonda il suo Spirito di Vita, che fa nuovi i
cuori e tutte le cose, vi saluto fraternamente
P. Stanislao Renzi, C.P.
Superiore Provinciale
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