Carissimi
Confratelli,
saluto
anzitutto il P.
Luigi Vaninetti, alla sua prima esperienza di un’assemblea
provinciale come Consultore Generale: la sua presenza dà serenità
al nostro dialogo. Saluto poi tutti i convenuti a questa assemblea,
che è espressione di partecipazione della Provincia a temi che ne
interessano la vita nel cammino in cui tutti debbono sentirsi
coinvolti.
Importante è il tema della rappresentatività dei religiosi di
Provincia al Capitolo Provinciale, che mai può limitarsi al momento
elettivo, dovendo soprattutto programmare, con perspicace
discernimento e con diligenza, la vita e l’attività per ogni
quadriennio. Parimenti è importante la riflessione sul documento
dell’ultimo Capitolo Generale, che deve ricadere nella realtà
della Provincia, la quale non può non fare un cammino in sintonia
con il resto della Congregazione per essere al passo con i segni del
nostro tempo.
Permettetemi una breve riflessione. L’assemblea che si celebra si
trova sempre collocata nel momento che sta vivendo una Provincia.
Ora il nostro è un momento che non ci dà tanta tranquillità,
anche se non è il caso di esagerare perché in questo tempo
postmoderno lo smarrimento è comune a tanti Istituti religiosi per
i veloci cambiamenti che sono di trasformazioni epocali.
Certo non è motivo di consolazione, molto meno può esserlo di
disimpegno, la constatazione che anche altri si trovano in
situazioni analoghe alla nostra. Quello che dovrebbe soprattutto
preoccuparci è la crescente difficoltà a sostenere gli impegni sia
di vita comunitaria sia di apostolato a causa della riduzione di
forze vitali.
Quando nel Consiglio provinciale ci troviamo di fronte a delle
emergenze e all’urgenza di intervenire prendiamo pure delle
decisioni, che però non sempre purtroppo trovano riscontro nella
disponibilità dei Confratelli: così si è costretti a soprassedere
e intanto le situazioni restano bloccate, provocando non solo
l’aggravamento ma anche un senso di diffuso malessere nelle
comunità e sfiducia verso l’autorità provinciale.
Trattandosi di religiosi, che non dovrebbero sfuggire alla
corresponsabilità nel segno dell’obbedienza, la quale non è
affatto un favore alla persona cui incombe l’onere del servizio ma
ossequio di volontà e di sacrificio per un valore che trascende
tutti, non si dovrebbe neanche ipotizzare il ricorso a misure
coercitive, previste del resto dal codice di diritto canonico.
È il caso del Santuario della Civita, ove da mesi è assente per
gravi ragioni di salute il P. Renato, e non c’è stato modo di
sostituirlo. Il sottoscritto
ha dovuto assicurare il servizio festivo.
Anche in altri casi s’è parlato di inerzia del superiore
provinciale; ma non si vedono i fatti nel
generale contesto della Provincia. Intanto cito quel che scrissi
nella lettera circolare del 26 ott. 1998:
“ho preferito la debolezza del servizio, insita nell’autorità
quando si cerca di interpretarla in senso evangelico, pur sapendo
che, come sempre, c’è chi invoca decisioni drastiche,
proprie dell’autorità
intesa come potere”. “Il
servizio evangelico, infatti, sortisce il suo effetto, quando si
incontra con motivazioni ispirate dalla fede, mentre deve registrare
quasi un fallimento se alle decisioni, prese per coprire i vari
ruoli della comunità provinciale e maturate del resto in sede di
consiglio provinciale, si oppone il rifiuto, con la pretesa
addirittura di motivarlo razionalmente. Si tratta di razionalità
che non fa cogliere più gli aspetti irrinunciabili della
consacrazione a Dio, nel segno dell’imitazione del Cristo
crocifisso, e quindi della sua obbedienza come espressione
dell’amore filiale al Padre”.
Non è per elemosinare commiserazione da qualcuno, se rivelo che
ho avuto prolungati momenti di vera amarezza, per aver dovuto
tollerare il protrarsi di situazioni deplorevoli senza alcuna
prospettiva di trasformazione positiva. Sono momenti in cui viene
forte la tentazione di scrollarsi di dosso un peso non desiderato e
niente affatto appetibile ai nostri giorni.
Nella lettera citata scrivevo pure: “Credo sia superfluo segnalare
la difficoltà causata dalla riduzione delle forze dovuta all’età,
ma anche aggravata dalla residenza di alcuni fuori comunità: è da
prevedere che, non molto a lungo, saremo costretti a ridimensionare
attività e presenze, nonostante la resistenza di alcuni. Non
reggeranno più motivi sentimentali o attaccamenti personali: le
rare vocazioni, previste nell’immediato futuro, saranno
insufficienti a riempire i vuoti. Forse sarebbe più vitale il
sacrificare una presenza in luoghi tradizionali, per impiantarne una
nuova in territori aperti al nostro apostolato e fecondi di
vocazioni (es. il Cilento)”, per il quale c’è una precisa
richiesta del vescovo di Teggiano-Policastro.
Intanto nei giorni scorsi siamo stati costretti a riconsegnare la
parrocchia di S. Tarcisio, in Napoli, dopo circa trent’anni di
servizio pastorale, perché il parroco s’è dimesso per ragioni di
salute e io non ho ritenuto opportuno in coscienza presentare un
nominativo che non fosse idoneo alla cura pastorale d’una
parrocchia dalla realtà socio-religiosa molto complessa. Ne è
seguito un fermento tra i fedeli, che non mi ha sorpreso, mentre ho
avuto purtroppo la conferma che quasi sempre ad esso non sono
estranee espressioni di confratelli che avrebbero “trovato”
senz’altro la soluzione!
Ho voluto solo manifestare qualche mio sentimento. Non prendetelo
semplicemente come uno sfogo, anche se ve ne sarebbe motivo per
delle reazioni ed espressioni non sempre ispirate al pur necessario
rispetto verso chi suo malgrado deve esercitare l’autorità.
Questo non mi affligge, solo crea in me rammarico per non essere
capace di fronteggiare situazioni che richiedono efficacia di
interventi.
Auguro
a tutti un buon lavoro per il bene della Provincia. |