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NON
C' È PACE SENZA GIUSTIZIA 1.
Quest'anno la Giornata Mondiale della Pace viene celebrata
sullo sfondo dei drammatici eventi dell'11 settembre scorso. In
quel giorno, fu perpetrato un crimine di terribile gravità: nel giro di
pochi minuti migliaia di persone innocenti, di varie provenienze
etniche, furono orrendamente massacrate. Da allora, la gente in tutto il
mondo ha sperimentato con intensità nuova la consapevolezza della
vulnerabilità personale ed ha cominciato a guardare al futuro con un
senso fino ad allora ignoto di intima paura. Di fronte a questi stati
d'animo la Chiesa desidera testimoniare la sua speranza, basata sulla
convinzione che il male, il mysterium iniquitatis, non ha
l'ultima parola nelle vicende umane. La storia della salvezza, delineata
nella Sacra Scrittura, proietta grande luce sull'intera storia del
mondo, mostrando come questa sia sempre accompagnata dalla sollecitudine
misericordiosa e provvida di Dio, che conosce le vie per toccare gli
stessi cuori più induriti e trarre frutti buoni anche da un terreno
arido e infecondo. La
pace: opera di giustizia e di amore 3.
Ma come parlare, nelle circostanze attuali, di giustizia e insieme
di perdono quali fonti e condizioni della pace? La mia risposta è che si
può e si deve parlarne, nonostante la difficoltà che questo
discorso comporta, anche perché si tende a pensare alla giustizia e al
perdono in termini alternativi. Ma il perdono si oppone al rancore e
alla vendetta, non alla giustizia. La vera pace, in realtà, è « opera
della giustizia » (Is 32, 17). Come ha affermato il Concilio
Vaticano II, la pace è « il frutto dell'ordine immesso nella società
umana dal suo Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini assetati
di una giustizia sempre più perfetta » (Costituzione pastorale Gaudium
et spes, 78). Da oltre quindici secoli, nella Chiesa cattolica
risuona l'insegnamento di Agostino di Ippona, il quale ci ha ricordato
che la pace, a cui mirare con l'apporto di tutti, consiste nella tranquillitas
ordinis, nella tranquillità dell'ordine (cfr De civitate Dei,
19, 13).
Il fenomeno del terrorismo 4. È proprio la pace fondata sulla giustizia e sul perdono che oggi è attaccata dal terrorismo internazionale. In questi ultimi anni, specialmente dopo la fine della guerra fredda, il terrorismo si è trasformato in una rete sofisticata di connivenze politiche, tecniche ed economiche, che travalica i confini nazionali e si allarga fino ad avvolgere il mondo intero. Si tratta di vere organizzazioni dotate spesso di ingenti risorse finanziarie, che elaborano strategie su vasta scala, colpendo persone innocenti, per nulla coinvolte nelle prospettive che i terroristi perseguono. Adoperando i loro stessi seguaci come armi da lanciare contro inermi persone inconsapevoli, queste organizzazioni terroristiche manifestano in modo sconvolgente l'istinto di morte che le alimenta. Il terrorismo nasce dall'odio ed ingenera isolamento, diffidenza e chiusura. Violenza si aggiunge a violenza, in una tragica spirale che coinvolge anche le nuove generazioni, le quali ereditano così l'odio che ha diviso quelle precedenti. Il terrorismo si fonda sul disprezzo della vita dell'uomo. Proprio per questo esso non dà solo origine a crimini intollerabili, ma costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come strategia politica ed economica, un vero crimine contro l'umanità.
5. Esiste perciò un diritto a difendersi dal terrorismo. E un diritto che deve, come ogni altro, rispondere a regole morali e giuridiche nella scelta sia degli obiettivi che dei mezzi. L'identificazione dei colpevoli va debitamente provata, perché la responsabilità penale è sempre personale e quindi non può essere estesa alle nazioni, alle etnie, alle religioni, alle quali appartengono i terroristi. La collaborazione internazionale nella lotta contro l'attività terroristica deve comportare anche un particolare impegno sul piano politico, diplomatico ed economico per risolvere con coraggio e determinazione le eventuali situazioni di oppressione e di emarginazione che fossero all'origine dei disegni terroristici. Il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei contesti sociali in cui i diritti vengono conculcati e le ingiustizie troppo a lungo tollerate. Occorre, tuttavia, affermare con chiarezza che le ingiustizie esistenti nel mondo non possono mai essere usate come scusa per giustificare gli attentati terroristici. Si deve rilevare, inoltre, che tra le vittime del crollo radicale dell'ordine, ricercato dai terroristi, sono da includere in primo luogo i milioni di uomini e di donne meno attrezzati per resistere al collasso della solidarietà internazionale. Alludo specificamente ai popoli del mondo in via di sviluppo, i quali già vivono in margini ristretti di sopravvivenza e che sarebbero i più dolorosamente colpiti dal caos globale economico e politico. La pretesa del terrorismo di agire in nome dei poveri è una palese falsità.
Non si uccide in nome di Dio! 6. Chi uccide con atti terroristici coltiva sentimenti di disprezzo verso l'umanità, manifestando disperazione nei confronti della vita e del futuro: tutto, in questa prospettiva, può essere odiato e distrutto. Il terrorista ritiene che la verità in cui crede o la sofferenza patita siano talmente assolute da legittimarlo a reagire distruggendo anche vite umane innocenti. Talora il terrorismo è figlio di un fondamentalismo fanatico, che nasce dalla convinzione di poter imporre a tutti l'accettazione della propria visione della verità. La verità, invece, anche quando la si è raggiunta — e ciò avviene sempre in modo limitato e perfettibile — non può mai essere imposta. Il rispetto della coscienza altrui, nella quale si riflette l'immagine stessa di Dio (cfr Gn 1, 26-27), consente solo di proporre la verità all'altro, al quale spetta poi di responsabilmente accoglierla. Pretendere di imporre ad altri con la violenza quella che si ritiene essere la verità, significa violare la dignità dell'essere umano e, in definitiva, fare oltraggio a Dio, di cui egli è immagine. Per questo il fanatismo fondamentalista è un atteggiamento radicalmente contrario alla fede in Dio. A ben guardare il terrorismo strumentalizza non solo l'uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si serve per i propri scopi.
7.
Nessun responsabile delle religioni, pertanto, può avere
indulgenza verso il terrorismo e, ancor meno, lo può predicare. È
profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio, far
violenza all'uomo in nome di Dio. La violenza terrorista è contraria
alla fede in Dio Creatore dell'uomo, in Dio che si prende cura dell'uomo
e lo ama. In particolare, essa è totalmente contraria alla fede in
Cristo Signore, che ha insegnato ai suoi discepoli a pregare: « Rimetti
a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori »
(Mt 6, 12).
La necessità del perdono 8.
Ma che cosa significa, in concreto, perdonare? E perché
perdonare? Un discorso sul perdono non può eludere questi
interrogativi. Riprendendo una riflessione che ebbi già modo di offrire
per la Giornata Mondiale della Pace 1997 («Offri il perdono, ricevi la
pace»), desidero ricordare che il perdono ha la sua sede nel cuore di
ciascuno, prima di essere un fatto sociale. Solo nella misura in cui si
affermano un'etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in
una «politica del perdono», espressa in atteggiamenti sociali ed
istituti giuridici, nei quali la stessa giustizia assuma un volto più
umano.
9.
In quanto atto umano, il perdono è innanzitutto un'iniziativa del
singolo soggetto nel suo rapporto con gli altri suoi simili. La persona,
tuttavia, ha un'essenziale dimensione sociale, in virtù della quale
intreccia una rete di rapporti in cui esprime se stessa: non solo nel
bene, purtroppo, ma anche nel male. Conseguenza di ciò è che il
perdono si rende necessario anche a livello sociale. Le famiglie,
i gruppi, gli Stati, la stessa Comunità internazionale, hanno bisogno
di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare
situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di
escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La
capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società
futura più giusta e solidale.
Il perdono, strada maestra 10.
La proposta del perdono non è di immediata comprensione né di
facile accettazione; è un messaggio per certi versi paradossale. Il
perdono infatti comporta sempre un'apparente perdita a breve
termine, mentre assicura un guadagno reale a lungo termine. La
violenza è l'esatto opposto: opta per un guadagno a scadenza
ravvicinata, ma prepara a distanza una perdita reale e permanente. Il
perdono potrebbe sembrare una debolezza; in realtà, sia per essere
concesso che per essere accettato, suppone una grande forza spirituale e
un coraggio morale a tutta prova. Lungi dallo sminuire la persona, il
perdono la conduce ad una umanità più piena e più ricca, capace di
riflettere in sé un raggio dello splendore del Creatore.
11.
Meditando sul tema del perdono, non si possono non ricordare alcune
tragiche situazioni di conflitto, che da troppo tempo alimentano odi
profondi e laceranti, con la conseguente spirale inarrestabile di
tragedie personali e collettive. Mi riferisco, in particolare, a quanto
avviene nella Terra Santa, luogo benedetto e sacro dell'incontro di Dio
con gli uomini, luogo della vita, morte e risurrezione di Gesù, il
Principe della pace.
Comprensione e cooperazione interreligiosa 12. In questo grande sforzo, i leader religiosi hanno una loro specifica responsabilità. Le confessioni cristiane e le grandi religioni dell'umanità devono collaborare tra loro per eliminare le cause sociali e culturali del terrorismo, insegnando la grandezza e la dignità della persona e diffondendo una maggiore consapevolezza dell'unità del genere umano. Si tratta di un preciso campo del dialogo e della collaborazione ecumenica ed interreligiosa, per un urgente servizio delle religioni alla pace tra i popoli. In
particolare, sono convinto che i leader religiosi ebrei, cristiani e
musulmani debbano prendere l'iniziativa mediante la condanna pubblica
del terrorismo, rifiutando a chi se ne rende partecipe ogni forma di
legittimazione religiosa o morale. 13. Nel dare comune testimonianza alla verità morale secondo cui l'assassinio deliberato dell'innocente è sempre un grave peccato, dappertutto e senza eccezioni, i leader religiosi del mondo favoriranno la formazione di una pubblica opinione moralmente corretta. E questo il presupposto necessario per l'edificazione di una società internazionale capace di perseguire la tranquillità dell'ordine nella giustizia e nella libertà. Un impegno di questo tipo da parte delle religioni non potrà non introdursi sulla via del perdono, che porta alla comprensione reciproca, al rispetto e alla fiducia. Il servizio che le religioni possono dare per la pace e contro il terrorismo consiste proprio nella pedagogia del perdono, perché l'uomo che perdona o chiede perdono capisce che c'è una Verità più grande di lui, accogliendo la quale egli può trascendere se stesso.
Preghiera per la pace 14. Proprio per questa ragione, la preghiera per la pace non è un elemento che « viene dopo » l'impegno per la pace. Al contrario, essa sta al cuore dello sforzo per l'edificazione di una pace nell'ordine, nella giustizia e nella libertà. Pregare per la pace significa aprire il cuore umano all'irruzione della potenza rinnovatrice di Dio. Dio, con la forza vivificante della sua grazia, può creare aperture per la pace là dove sembra che vi siano soltanto ostacoli e chiusure; può rafforzare e allargare la solidarietà della famiglia umana, nonostante lunghe storie di divisioni e di lotte. Pregare per la pace significa pregare per la giustizia, per un adeguato ordinamento all'interno delle Nazioni e nelle relazioni fra di loro. Vuol dire anche pregare per la libertà, specialmente per la libertà religiosa, che è un diritto fondamentale umano e civile di ogni individuo. Pregare per la pace significa pregare per ottenere il perdono di Dio e per crescere al tempo stesso nel coraggio che è necessario a chi vuole a propria volta perdonare le offese subite. Per
tutti questi motivi ho invitato i rappresentanti delle religioni del
mondo a venire ad Assisi, la città di san Francesco, il prossimo 24
gennaio, a pregare per la pace. Vogliamo con ciò mostrare che il
genuino sentimento religioso è una sorgente inesauribile di mutuo
rispetto e di armonia tra i popoli: in esso, anzi, risiede il principale
antidoto contro la violenza ed i conflitti. In questo tempo di grave
preoccupazione, l'umana famiglia ha bisogno di sentirsi ricordare le
sicure ragioni della nostra speranza. Proprio questo noi intendiamo
proclamare ad Assisi, pregando Dio Onnipotente — secondo la
suggestiva espressione attribuita allo stesso san Francesco — di
fare di noi uno strumento della sua pace. 15. Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono: ecco ciò che voglio annunciare in questo Messaggio a credenti e non credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà, che hanno a cuore il bene della famiglia umana e il suo futuro. Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono: questo voglio ricordare a quanti detengono le sorti delle comunità umane, affinché si lascino sempre guidare, nelle loro scelte gravi e difficili, dalla luce del vero bene dell'uomo, nella prospettiva del bene comune. Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono: questo monito non mi stancherò di ripetere a quanti, per una ragione o per l'altra, coltivano dentro di sé odio, desiderio di vendetta, bramosia di distruzione. In questa Giornata della Pace, salga dal cuore di ogni credente più intensa la preghiera per ciascuna delle vittime del terrorismo, per le loro famiglie tragicamente colpite, e per tutti i popoli che il terrorismo e la guerra continuano a ferire e a sconvolgere. Non restino fuori del raggio di luce della nostra preghiera coloro stessi che offendono gravemente Dio e l'uomo mediante questi atti senza pietà: sia loro concesso di rientrare in se stessi e di rendersi conto del male che compiono, così che siano spinti ad abbandonare ogni proposito di violenza e a cercare il perdono. In questi tempi burrascosi, possa l'umana famiglia trovare pace vera e duratura, quella pace che solo può nascere dall'incontro della giustizia con la misericordia! Dal Vaticano, 8 dicembre 2001 GIOVANNI PAOLO II |