Carissimi Confratelli
1. Nella Lettera circolare del mese di Ottobre, ho presentato a voi la problematica del servizio ed esercizio dell’autorità, in sintonia con quanto la Chiesa ci sollecita di approfondire in questo periodo, carico di preoccupazioni per la vita consacrata, soprattutto per la grave carenza di vocazioni che, specialmente in Occidente, pone serie questioni sul futuro di questo stato di vita. Lo stesso Sinodo dei Vescovi, concluso il 23 ottobre scorso, più volte, è ritornato sul problema della carenza delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. Tema affrontato anche dai Vescovi italiani nella recente Assemblea annuale svolta ad Assisi dal 14 al 18 novembre 2005.
2. Da anni, anche noi, avvertiamo questo problema in modo serio e preoccupante, fino a farne la questione principale in molte nostre Assemblee e in diversi Capitoli provinciali degli ultimi 30 anni. Sì, perché la questione vocazionale, temporalmente, la si può far risalire, dopo i radicali cambiamenti del Concilio Vaticano II, proprio intorno agli Anni Settanta, quando il rinnovamento incominciò a concretizzarsi. Infatti, l’ultimo consistente gruppo di studenti formati nella nostra Provincia secondo i “metodi antichi” risale a quel periodo. Per alcuni, tale rinnovamento è stato l’anticamera per distruggere la vita consacrata; per altri, invece, è stato ed è un tempo di purificazione dal quale si uscirà con il rilancio complessivo della vita religiosa, anche in forme nuove.
3. I religiosi formati fino a quel periodo avevano chiara la scelta di vita che si accingevano a fare. Lo spartiacque tra un modo di formare i religiosi ed un altro sta proprio in questo periodo. Forse si può parlare che da allora in poi, effettivamente non si è avuta più una linea precisa di formazione dei candidati alla vita religiosa e sacerdotale. Le conseguenze del crollo del sistema formativo del passato si riflettono sui religiosi di oggi. E si badi bene che la questione riguarda tutti i religiosi, anche se interessa direttamente quelli che sono entrati da pochi anni in Congregazione e che, tra l’altro non sono neppure giovani di età.
4. In vista del prossimo Capitolo provinciale, è mio intento affrontare questo problema chiedendo lumi a tutti i religiosi della Provincia, a livello personale e comunitario. La crisi vocazionale, che ha interessato negli ultimi decenni giovani e meno giovani, non è un fatto limitato a noi, bensì riflette la tendenza generalizzata del facile abbandono degli impegni di consacrazione a Dio, con l’uscita dall’istituto e con la rinuncia allo stesso sacerdozio. Le motivazioni vanno sicuramente ricercate, in primo luogo, nella stessa persona che ha deciso di lasciare, e poi nello stesso ambiente in cui si matura la vocazione o la si perde facilmente. Non curando una visione di fede della propria scelta di consacrazione a Dio, più facilmente si perde l’orientamento e la bussola. Per cui, ci si trova di fronte a religiosi demotivati, scoraggiati, supercritici, apparentemente incompresi, perché chiusi in se stessi e poco duttili al dialogo ed al confronto con la comunità e con l’autorità.
5. La vera crisi nasce nel profondo della vita del religioso, perché si perdono i punti cardini della propria consacrazione a Dio, e cioè la preghiera, l’orazione, la celebrazione eucaristica, la direzione spirituale, lo studio, la carità e la solidarietà, la disponibilità al servizio, e soprattutto si disertano le istanze del Vangelo e delle Regole. Quando subentra l’egoismo e l’individualismo nella vita comunitaria, il religioso è irrimediabilmente incamminato verso una crisi, latente o evidente, e pur restando in convento e continuando a vivere con i confratelli, certamente non assapora più la gioia di ritrovarsi insieme agli altri per i grandi progetti di santità e di apostolato. Gli altri sono solo un peso un ostacolo da evitare quando più possibile durante la giornata e forse per l’intera vita, oppure compagni per rincorrere cose effimere.
6. Per noi Passionisti della Provincia dell’Addolorata il problema è stato particolarmente avvertito negli anni scorsi, quando diversi religiosi e sacerdoti, anche giovanissimi e con pochi anni di sacerdozio, hanno lasciato definitivamente l’istituto e alcuni di loro anche il sacerdozio. Ora si tratta di preparare il futuro puntando su un progetto di formazione seria e coerente con la scelta di consacrazione a Dio. La formazione iniziale e permanente che ricorre in tutti i documenti della Chiesa e della nostra Congregazione rischia di rimanere una pia intenzione. Si sa che oggi non abbiano formatori in grado di rispondere al meglio alle attuali sfide in campo educativo. Ciò ci impegna a cercare nuove vie e nuove motivazioni in questo fondamentale settore della vita di un Istituto religioso.
7. Bisogna domandarsi come mai i giovani ed i ragazzi non sono attratti dalla nostra vita di consacrazione a Dio e perché nelle case religiose entrano solo persone di una certa età con tutto un bagaglio di esperienze e di strutturazione della personalità al di fuori del contesto “conventuale”? E’ vero che il Signore chiama nella sua vigna in qualsiasi momento della vita, purché questa chiamata in età avanzata venga percepita e valutata come vera vocazione e non solo come un bisogno di qualcuno o di qualcosa in più per garantirci il nostro futuro. E’ il Papa a dare indirettamente una risposta al quesito, nel Discorso ai sacerdoti tenuto ad Introd in Valle d’Aosta nel luglio scorso. “Il primo punto è un problema che si pone in tutto il mondo occidentale: la mancanza delle vocazioni”. Ed aggiunge: “Nonostante il numero di sacerdoti, molti sono condannati ad una solitudine terribile e moralmente molti non sopravvivono. E, dunque, è importante avere intorno a sé la realtà del presbiterio, della comunità di sacerdoti che si aiutano, che stanno insieme in un cammino comune, in una solidarietà nella fede comune. Anche questo mi sembra importante perché se i giovani vedono sacerdoti molto isolati, tristi, stanchi, pensano: se questo è il mio futuro allora non ce la faccio. Si deve creare realmente questa comunione di vita che dimostra ai giovani: sì, questo può essere un futuro anche per me, così si può vivere”. Purtroppo sono queste le riflessioni che fanno alcuni dopo l’esperienza di stare in mezzo a noi per un certo tempo. Vanno in crisi prima di entrare in convento, perché non trovano ciò che desiderano, ovvero una vita santa, spiritualmente ed umanamente rilevante, incentrata sull’amore totale a Cristo e ai fratelli.
8. Sono soprattutto i giovani di oggi ad incontrare molte difficoltà per fare scelte di consacrazione a Dio, in quanto tra casa e convento non notano alcuna differenza; per cui preferiscono restare in famiglia e forse essere più amati e capiti lì. La visibilità della santità e della carità nella vita consacrata è difficile da rintracciarsi. Ciò non ci esime dal progettare il futuro. Un percorso di formazione più ampio, sicuramente permetterebbe di assimilare meglio ciò che è necessario ad una vita di autentica consacrazione a Dio, perché c’è il rischio di prendere solo ciò che è superficiale della vita consacrata, senza entrare nel profondo mistero della chiamata di Dio. La radicalità evangelica è richiesta a tutti ed è quella che può catturare l’interesse dei giovani o meno giovani verso la vita religiosa.
9. Con queste premesse passo a richiamare i punti salienti della questione, relativa alla nostra identità di consacrati a Dio, mediante i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza: il primato dello Spirito; l’impegno personale; il ruolo dell’educatore e dell’equipe formativa; l’ascesi personale, la fedeltà alla vocazione e al carisma.
10. Poiché la formazione dei religiosi è un'opera essenzialmente teologale, nella sua sorgente e nel suo obiettivo, lo Spirito Santo ha il primato assoluto nella vita consacrata. Come Gesù non si accontentò di chiamare i suoi discepoli, ma pazientemente li formò durante la vita pubblica, e dopo la risurrezione, continuò per mezzo del suo Spirito a «guidarli alla verità tutta intera», così deve operarsi nella vita consacrata. Dovrà essere lo stesso religioso ad aver cura della propria vocazione, accettando tutte le conseguenze di tale chiamata, la quale non è tanto di ordine intellettuale, ma piuttosto di ordine vitale. Si tratterà dunque di richiamarsi vigorosamente alla sua coscienza personale e alla sua personale responsabilità, perché interiorizzi i valori della vita religiosa e nello stesso tempo la regola di vita che gli è proposta.
11. Tutta la tradizione religiosa della Chiesa attesta il carattere decisivo del ruolo degli educatori per la riuscita dell'opera di formazione. Loro compito è di discernere l'autenticità della chiamata alla vita religiosa nella fase iniziale di formazione e di aiutare i religiosi a ben condurre il loro dialogo personale con Dio, scoprendo nello stesso tempo le vie nelle quali sembra che Dio voglia farli progredire. Spetta anche a loro di accompagnare il religioso sulle strade del Signore attraverso un dialogo diretto e regolare, nel rispetto della competenza del confessore e del direttore spirituale propriamente detto. L'intera opera di formazione è il frutto della collaborazione tra i responsabili di formazione e i loro discepoli. Questo ci porta a ricordare l'indispensabile necessità dell'ascesi nella formazione e nella vita dei religiosi. La Chiesa e la società hanno bisogno di testimoni che rinuncino a ciò che San Giovanni chiama «il mondo» e «le sue concupiscenze», e anche a questo «mondo» creato e conservato dall'amore del Creatore e ad alcuni suoi valori. Il regno di Dio, di cui la vita religiosa «manifesta che esso supera le cose terrestri», non è di questo mondo. C'è bisogno di testimoni che lo dicano. Questo programma di formazione non ha età e non può passare di moda. È sempre attuale e sempre necessario. Un programma che tenda non soltanto alla formazione dell'intelligenza, ma anche di tutta la persona, principalmente nella sua missione spirituale, affinché ogni religioso possa vivere in tutta la sua pienezza la propria consacrazione a Dio, nella missione specifica che la Chiesa gli affida.
12. Di grande utilità ai fini della pastorale vocazionale, risulta essere quanto ha detto il Papa, Benedetto XVI, nel discorso citato: “Riguardo all'importanza della vita religiosa, noi sappiamo che la vita monastica e contemplativa attira di fronte allo stress di questo mondo, apparendo come un'oasi nella quale vivere realmente. Anche qui si tratta di una visione romantica: per questo occorre il discernimento delle vocazioni. Tuttavia la situazione storica conferisce una certa attrazione alla vita contemplativa, ma non tanto alla vita religiosa attiva. Questo si vede meglio nel ramo maschile, dove si vedono religiosi, anche sacerdoti che fanno un apostolato importante nell'educazione, con gli ammalati ecc...”. Abbiamo adesso nuove forme come gli istituti secolari, le cui comunità dimostrano con la loro vita che c'è un modo di vivere buono per la persona, ma soprattutto necessario per la fede e per la comunità umana. Crescono nuovi modi tanto da avere la certezza che anche oggi il Signore conceda vocazioni necessarie per la vita della Chiesa e del mondo.
13. Nel processo di ristrutturazione in atto nella nostra Congregazione, un posto privilegiato occupa proprio il tema della formazione di tutti i religiosi. A nessuno è lecito cullarsi sulle posizioni raggiunte, soprattutto se risultano essere egoisticamente gratificanti; ma a tutti è richiesta il prendersi cura l’uno dell’altro, in una sorta di costruzione tipo mosaico, in cui ogni tessera ha il suo valore ed il suo ruolo insostituibile, pena il decadimento dell’immagine della stessa opera d’arte. Nel caso nostro c’è da costruire percorsi formativi, iniziali e permanenti, nei quali dobbiamo prenderci cura delle relazioni umane, del modo di pensare e del modo di decidere il cammino da farsi tutti insieme. Ogni giorno ci è chiesto di curare per noi stessi e per gli altri una visione chiara e prospettica della realtà, senza illusioni di nessun genere, ma con la concretezza di sempre. Nelle ansie e negli affanni, come quelli del momento presente, abbiamo il dovere morale di alzare lo sguardo al di là del buio, come ci insegna il Signore: “Levate lo guardo: non vedete che i campi già biondeggiano per la mietitura” (Gv. 4,35 ).
14. C’è ad augurarsi che seminando bene, soprattutto con la santità della vita, anche il campo della Congregazione della Passione e della nostra stessa Provincia religiosa possa biondeggiare presto e raccogliere i frutti di un’attività vocazionale che va oltre le nostre personali visioni al riguardo. Perché sappiamo bene che ”quando uno dice: "Io sono di Paolo", e un altro: "Io sono di Apollo", non vi dimostrate semplicemente uomini carnali? ”Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (Cfr. 1Cor. 3,1-11).
Come dire, che la vocazione è un dono di Dio, anche se spesso questo dono è qualcuno che ci aiuta a farlo scoprire dentro di noi. Dobbiamo essere grati al Signore per il dono ricevuto e parimenti riconoscenti a quanti ci hanno sostenuti e ci sostengono nel nostro itinerario vocazionale non sempre facile e agile da percorrere.
15. Vi affido, Carissimi Confratelli, queste riflessioni fatte ad alta voce, perché durante questo periodo che ci porterà al Capitolo provinciale, ognuno apporti il proprio contributo di idee e, soprattutto, si impegni con la testimonianza della vita, la preghiera e l’apostolato a far innamorare di Cristo sempre più giovani che, sull’esempio del nostro Fondatore, San Paolo della Croce, lascino tutto e tutti per seguire solo Lui, l’Amore Crocifisso.
Non saremo noi a risolvere il grave problema della crisi delle vocazioni e la stessa crisi di coloro che sono religiosi, ma il nostro stile di vita spirituale, comunitario, umano e relazionale contribuirà molto a suscitare nuove vocazioni per la Chiesa e per la nostra Congregazione, considerato il fatto che dobbiamo pensare ed agire più come “Congregazione”, che come Provincia o comunità locale.
La Madonna, presentata al Tempio, San Paolo della Croce e tutti i Santi e Beati passionisti, per la loro potente intercessione presso il Signore ottengano alla nostra Congregazione una fioritura immensa di santi e zelanti missionari passionisti, all’interno dei conventi, come per le tante strade del mondo, ove è urgente annunciare Cristo e Cristo Crocifisso con la testimonianza della nostra vita di consacrati.
Fraternamente in Cristo
21 Novembre 2005
Festa della Presentazione
P. Antonio Rungi C.P.
Superiore provinciale
|