16/11/02 - Biblioteca passionista di Sora (FR): Inaugurazione Fondo Antico. Relazione di P. Giuseppe Comparelli: "Origine e sviluppo della Biblioteca dei Passionisti di Sora"  SOMMARIO

Annotazioni conclusive: la biblioteca conventuale tra dotazione storica e funzione ideale

La biblioteca dei passionisti di Sora, come abbiamo visto, registra più marcatamente di quelle dei passionisti del Lazio pontificio una storia di accrescimenti con fondi privati di ecclesiastici, ma anche una continuità di ingressi, talora massicci, programmati dalla comunità. Questo non ha pregiudicato la sua unità tipologica, né l’ha distratta dall’indole propria delle biblioteche dell’Istituto quando, alla seconda metà dell’800, si decisero i nuovi ingressi e committenze editoriali prima della stasi involutiva che ebbe inizio dal 1866.
La sua posizione nel Regno di Napoli e i suoi frequenti rapporti con le sedi passioniste più giovani di Caserta e Aversa la pongono a contatto con le novità librarie, con editori e con qualche scrittore locale, come il filosofo Marsella a Sora (36) che frequenta il convento, oppure con i testi di teologia dell’aversano De Folgore che finiscono negli scaffali della sede sorana. Questi contatti erano anche segno di un vantaggio economico nei confronti delle altre comunità del Lazio sud. La biblioteca ha registrato sensibilmente questo vantaggio con acquisti che distinguessero la provvista libraria. C’era una barriera ideale, per così dire, che assicurava la presenza di testi e autori per ciascuna disciplina, senza i quali una biblioteca conventuale non poteva dirsi completa. Così la libreria di Sora, costituita a metà ‘800, ancora doveva avere le opere di Benedetto XIV (Lambertini) scritte nel ‘700, su vari argomenti di dottrina giuridica. Aveva ancora i tomisti Goudin e Gonet (‘600), Jacquier (‘700), tutti spiazzati poi dal Roselli (1722-1784) ritenuto il più fedele a San Tommaso e seguito dai passionisti fino alla seconda metà dell’800, nell’originale o nel compendio del 1837. Ma la biblioteca di S. Maria degli Angeli ha anche le voci dissonanti di filosofi non tomisti come Condillac, Genovesi, Galluppi, Gioia, Gioberti, Rosmini ecc.
Forse faceva parte di una completezza ideale anche la difficoltà a liberarsi definitivamente di sussidi segnati dall’età, ma non ancora sostituiti da sicure autorità, come per i volumi di scienze fisiche e chimiche dell’Abate Nollet (Venezia 1762), del Della Torre (Napoli 1767), del Poli (Napoli 1792), del Prisson (Napoli 1802). Così per Rollin e Crevier, quanto alla storia antica. Entrando in campo più specificamente ecclesiastico, autori già desueti all’epoca della nascita di questa biblioteca, a metà ‘800, ancora si conservano con onore: moralisti come l’Alexandre, l’Antoine, il Cuniliati, il Reiffenstuel; biblisti come Calmet, Sacy, anche in buona veste tipografica. Senza dire che qualche nome persiste in biblioteca non come modello o guida di lavoro, ma per diletto culturale, come Bossuet, come Giacco, l’oratore sacro della Napoli del ‘700, disdegnato da Sant’Alfonso.
Potremmo proseguire senza rischiare di mettere in disaccordo la dotazione di una biblioteca con l’attualità della sua funzione perché il religioso è portato a cercare nei libri sia l’utilità di uno strumento di sapere e di comunicazione, sia un titolo venerando che renda la biblioteca degna di questo nome. In questo modo la biblioteca documenta al tempo stesso l’attualità e la continuità nel tempo, assicurando al libro una sua sopravvivenza anche dopo aver esaurito la sua funzione di servizio attuale del sapere, soprattutto nel cantiere dei corsi di formazione giovanile. Perché, dopo tutto, per il religioso il libro non sarà mai un testo legato a fortuna effimera o sospetta, come può accadere nella narrativa, nella polemica, nell’oratoria e talvolta nelle stesse discipline ecclesiastiche, quando una sentenza censoria ne rivela debolezze e incongruenze.
Intanto queste biblioteche ancora conservano Voltaire e Rousseau al fianco di Platone e Agostino – dopo tante vicende – come gli antichi monasteri che trascrivevano e conservavano tanto le pagine pagane di Ovidio che quelle cristiane di Origene. Anche questo è la biblioteca ideale: tenere a un livello di permanenza aristocratica la produzione significativa dell’ingegno umano seguendo il filtro implacabile del giudizio storico che passa all’oblio quello che ritiene banale, ripetitivo, inutile. Il libro è nella logica del successo, dove non valgono diritti, ma meriti e fortune.
Il parametro di giudizio resta, il libro spesso passa e questo ha associato nei conventi al carattere ideale, anche quello essenziale, quando contingenze storiche e ragioni di spazio costringevano a criteri selettivi. Abbiamo detto "costringevano" perché dalla seconda metà del secolo XVIII, a cominciare dalle biblioteche dei gesuiti e poi delle altre, da quel discusso ’98 in poi, le biblioteche ecclesiastiche sono portate a pensarsi in un grado di completezza che unisca alla disponibilità essenziale la funzione ideale, come in una implicita, prolungata emergenza. Per oltre un secolo e cioè fin quasi alla vigilia del secolo XX, queste raccolte, quando sono rimaste in vita, hanno registrato ritornanti arresti di crescita, smembramenti, aste pubbliche, vendite, traslochi, con inevitabili perdite: era il settore debole e bistrattato del patrimonio nobile della Chiesa e della nazione, ma era spazio umano ed esercizio di libertà.
Ne venne di conseguenza che dall’ultimo ventennio del secolo XIX, dopo le requisizioni di Stato, quando il libro è un prodotto più accessibile, anche perché meno pregiato di prima, stenta ad alimentare la biblioteca comunitaria, patrimonio sacro e trascendente, e comincia a entrare nella disponibilità privata del religioso. Ormai la libreria conventuale è un’istituzione vulnerabile come simbolo e come "bene ecclesiastico". Ci vorranno anni prima che si torni all’antico culto, in contesti più sicuramente democratici, ma non con la venerazione di prima.
Le nuove attenzioni ai fondi antichi, ritrovati sostanzialmente nella consistenza recuperata alle aste di Stato e rimasti custoditi come una giacenza quasi inerte, affrontarono l’ultima prova storica nelle nostre terre col passaggio del fronte di guerra del ’43-’44 e con la successiva ricostruzione dei fabbricati che pure comportarono qualche danno per traslochi e nuovi arredi.
è approdato fino a noi, un po’ mutilo, ma con tutto il suo linguaggio, quel mondo popolato di stampatori, editori, incisori, autori che dal ‘400 all’800 hanno dato vita a eventi, teorie, immagini, superando burrasche e insidie varie. Ora tutto è pressato dagli antichi torchi nella carta artigianale degli antenati e pronto a riprendere vita nelle nostre mani.
Dopo queste rapide informazioni possiamo definire ideale una biblioteca che focalizza dotazione e funzione sulla domanda del momento storico circa il sapere. Da qui deriva che può inseguire questo connotato una comunità segnata da precisa identità culturale, quella che oggi diciamo carisma. Questa identità, stabile nel tempo, spirituale e operativa, giudica e acquista secondo un criterio affermativo e difensivo. In altre parole: la biblioteca ideale segue il cammino della cultura di cui è monumento e strumento.
I grandi passaggi storici, perciò, hanno lasciato traccia in queste raccolte, come ad esempio l’Illuminismo, le esuberanze ottocentesche per un verso, e ultimamente il Concilio per altri aspetti, generando attese, ingressi e abbandoni di titoli. È così che si succedono autori e testi determinando anche avvicendamenti e fortune editoriali. Ne diamo un piccolo saggio sommario: Turchi rimpiazza Cattaneo dopo Segneri nei predicabili, il Liguori fa dimenticare Antoine e Cuniliati in teologia morale, la Bibbia in italiano del Martini (che uscì per prima a Napoli nel 1771) si affianca a biblisti consolidati come Sacy e l’eterno Van den Steen (1567-1637) che ancora veniva ristampato e acquistato a Napoli nel 1858. Roselli prende il posto di Goudin, Gonet e Jacquier e lo tiene anche nell’800, finchè non si affermano le nuove scuole neotomiste.
Con questo intendiamo sottolineare un criterio e una tendenza, non un risultato raggiunto perché quell’ideale segue un cammino che non si arresta. La stessa produzione locale obbedisce a questo orientamento generale del tempo antico, dove più attive sono le officine editoriali. Quelle di Napoli, fornitrici di Sora, resuscitano con replicate ristampe nell’800 gli autori antichi, come abbiamo visto, e danno prova ulteriore che la biblioteca ideale non è solo un’ipotesi contemplativa. Abbiamo, anzi, notato che i fattori di ricchezza, di varietà e unità passano anche per i contributi locali che sono il vaglio storico e concreto di quel carattere permanente connesso ai grandi prodotti del sapere.

Concludendo: la biblioteca ideale sarà stato un vagheggiamento legittimo, confacente a qualche ambiente monastico premoderno: disponibilità piena della produzione scritta nell’unica lingua latina e nell’unico orizzonte cristiano. I conventi, dopo, hanno cercato di replicare nel loro piccolo quella grande ricchezza, ma hanno dovuto misurarsi con l’ingiuria dei tempi e con i limiti intrinseci di questo desiderio. È per questa ragione che ogni biblioteca conventuale reca una vaga impronta di quel sogno, come se fosse un vecchio mappamondo dello scibile: così eravamo quando l’occidente sognava di esprimere e conservare tutta la cultura, quella che gestiva come un monopolio.

www.passionisti.org
un sito web della Famiglia Passionista