"Contro i mali del nostro tempo è necessaria una terapia
religiosa che recuperi a livello personale e familiari i valori
essenziali della cristianità", è quanto afferma padre
Antonio Rungi, docente di teologia morale.
"Di fronte ai tanti drammi che si consumano
quotidianamente, dal Nord al Sud, del nostro Paese diventa
prioritaria una formazione all’autentica religiosità, spesso
disattesa anche in coloro che si professano cristiani. Certamente,
l’assenza di riferimenti religiosi e la mancanza di una
formazione spirituale e morale non aiuta a superare le difficoltà
quotidiane delle persone e dei gruppi. La patologie di certi
comportamenti non è solo è ascrivibile al contesto relazionale e
sociale, ma anche ad una carenza nella formazione spirituale dei
soggetti.
Molta responsabilità compete anche alla comunità dei credenti.
La parrocchia –afferma padre Rungi- ma anche i sacerdoti, le
associazioni cattoliche devono essere più vicini alle persone,
alle famiglie. Bisogna uscire fuori da una pastorale di attesa dei
fedeli che vadano in Chiesa ad un andare verso di loro. Si tratta
di fare scelte pastorali impegnative per tutti. Penso –afferma
padre Rungi- a quanti drammi in meno avremmo potuto avere qualora
ci fosse stata un’azione più vigile sulle persone che si sono
trovate in difficoltà ed hanno commesso reati grandi, in un
momento di scoraggiamento di solitudine, di abbandono.
Penso che un sincero mea culpa lo debba fare anche un tipo di
terapia psicologica che non produce alcun effetto benefico sulle
persone né potenza le capacità decisionali dei soggetti in
difficoltà. A mio avviso una buona terapia di fede, una buona
iniezione di speranza, un accompagnamento spirituale delle persone
in difficoltà, con personale adatto, soprattutto di sacerdoti e
religiosi preparati, aiuterebbe molte persone ad uscire fuori dal
momento di crisi. Non si tratta –conclude padre Rungi- di
sostituire la terapia psicologica o psichiatrica con una sorta di
terapia generica e generalista di carattere religioso, ma di dare
spessore alla propria fede, agendo di conseguenza in ragione di
questo dono e impegno che viene da Dio, ma che richiede la riposta
libera della persona credente.
Mi auguro che tutti, anche noi sacerdoti, facciamo un esame di
coscienza serio su modo in cui siamo realmente vicino alle persone
ed alle famiglie in difficoltà. Perché se non facciamo niente, o
facciamo poco, e per giunta con la fretta e la superficialità,
non dobbiamo poi meravigliarci se accadono dovunque drammi
familiari e personali. I sacerdoti, ma anche la comunità dei
credenti deve essere più vicina alla gente, soprattutto se
fratelli e sorelle che si sono allontanati progressivamente dalla
fede. In poche parole bisogna ripartire dalla nuova
evangelizzazione, che è anche promozione della persona umana e
vicinanza a chi si trova in difficoltà".