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Crisi delle vocazioni. Cosa fare in Italia e in Occidente?
Una problematica che investe la famiglia, la società e la Chiesa in particolare
Domenica 2 giugno 2002, Solennità del Corpus Domini

Tranne qualche lodevole eccezione di istituti religiosi maschili o femminili e di qualche diocesi, la crisi vocazionale si estende sempre più in Italia ed in Occidente. Sono, infatti, pochissimi i giovani e le giovani che accolgono l’invito di Cristo a seguirlo per la via stretta dei consigli evangelici della povertà, della castità e dell’obbedienza o a seguire fino in fondo la vocazione sacerdotale.
Prima di chiederci cosa fare concretamente per poter superare questa crisi sempre più estesa e che dura da decenni è necessario interrogarsi sulle cause che hanno generato in Italia e in Europa la mancanza di vocazioni.
Non c’è terapia adatta a qualsiasi male se non si rimuove la causa che lo determina. Così è nella medicina, così è altrettanto valido nella vita spirituale: dato di fatto non si può assolutamente contestare. La crisi del senso religioso è conseguente anche alla crisi delle vocazioni e alla mancanza di preti e religiosi oggi in Italia.
E’ certo che il senso della fede, soprattutto quella cattolica, oggi si è smarrito o addirittura perso sotto la pressione di fattori sociali, culturali, economici che hanno modificato sostanzialmente il modo di pensare e di vivere di noi occidentali. Il riferimento al dato religioso cristiano è marginale o addirittura inesistente.
Nel libro del battesimo sono scritti la quasi totalità dei nostri connazionali e degli europei, anche se questi ultimi hanno fatto scelte di confessione cristiana diversa. E mi riferisco ai fratelli protestanti ed ortodossi.
L’anima cristiana dell’Europa sembra essersi persa nel groviglio delle molteplici culture laiche, anticristiane, atee, materialistiche, edonistiche, lassiste. Ne è prova il fatto che anche nella Costituzione Europea manca il riferimento alla cultura cristiana del Vecchio Continente, tanto da sollecitare il coraggioso intervento del Santo Padre, Giovanni Paolo II, su tale delicata questione.
Poche parole, un quadro preoccupante non solo nel nostro Paese ma anche in altre parti dell’Europa.
La crisi delle vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale cammina di pari passi con la crisi religiosa della società. Far fronte a tale crisi, che si allarga a macchia d’olio ed investe tutta la Penisola è necessario una terapia d’urto che favorisca la vocazione alla vita sacerdotale e religiosa nelle famiglie ed in primo luogo nelle famiglie italiane, dove una volta era forte il sentimento religioso e ben curata era la vocazione alla vita religiosa e sacerdotale, mediante atteggiamenti e comportamenti dei genitori di grande esempio per i propri figli, specie se aspiranti alla vita consacrata.
Tale terapia consiste nel recuperare in famiglia uno stile di austerità ed autenticità, nonché di reciproco rispetto: valori che favoriscono per natura la nascita e la crescita delle vocazioni. A ciò va associato uno stile di preghiera che i genitori devono saper trasmettere ai propri figli. Ciò che si oppone apertamente ad ogni impegno definitivo di vita consacrata è il benessere, l’edonismo e il libertinaggio. La vita sacerdotale e religiosa nasce e si sviluppa in quegli ambienti dove prevale la parsimonia, la sincerità dei rapporti tra le persone e l’amore tra i vari componenti della famiglia: luogo privilegiato per favorire le speciali vocazioni è la scuola. Sappiamo la crisi che investe anche oggi la scuola.
Tuttavia, va precisato che la stragrande maggioranza dei bambini, ragazzi e giovani in Italia ha optato per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali. Con quali risultati su un piano di apprendimento del dato culturale e religioso cattolico è un mistero. Soprattutto con la presenza degli insegnanti laici nelle scuole statali, i giovani hanno perso il contatto con la figura del sacerdote, del parroco o del religioso, non incontrandolo altrove.
La scuola dovrebbe recuperare questa sua funzione anche "religiosa" per aiutare quelle vocazioni speciali che si manifestano tra i banchi di scuola e si rivelano per primi ai compagni di classe e ai docenti.
Altro luogo che considero "speciale" per simili discorsi è la comunità parrocchiale. Si fa poco oggi in Italia ed in Europa a livello di orientamento vocazionale in parrocchia. Non solo a non preoccuparsi sono le Diocesi, ma anche gli istituti di vita consacrata maschili e femminili. Si investe poco in energie umane ed economiche per far conoscere i carismi di fondazione ai giovani. Oltre alla preghiera per le vocazioni in determinate circostanze si fa poca pastorale vocazionale. Forse ci stiamo abituando a far meno dei preti e dei sacerdoti e di conseguenza dei sacramenti e della celebrazione eucaristica e dell’amministrazione del sacramento della Confessione.
Dati reali e preoccupanti, che ci devono far pensare e soprattutto incominciare ad agire con maggiore convinzione in questo settore.
D’altra parte, non si sono dubbi la crisi vocazionale in tutta Italia è un segno del progressivo depauperamento dei valori religiosi e cristiani nella nostra società e di conseguenza anche di rapporti tra persone. Le stesse istituzioni sono sempre più conflittuali e sempre più al di fuori del rispetto delle regole sociali e della dignità altrui. Porre riparo ad una simile situazione deficitaria non è esclusiva responsabilità dei vescovi e degli addetti ai lavori, ma di tutta la comunità ecclesiale ed umana. Sembra strano che la società italiana non si interroghi su questi fenomeni.
La chiesa, infatti, rimane tra le istituzioni pubbliche quella bene accetta e gradita alla massima parte della popolazione. E ciò è merito anche di un clero italiano che sa stare effettivamente vicino alla gente e condividere con essa ansie, aspettative e promesse di un futuro migliore.
Problema di fondo però rimane quello tipico degli ultimi decenni: pochi giovani sentono il fascino di lasciare il mondo e mettersi alla sequela di Cristo. Perciò si fa urgente avviare un progetto di formazione alla vita sacerdotale e religiosa che interessi gli adolescenti e i giovani, riaprendo i seminari minori e potenziando i seminari maggiori. Istituzioni che vanno adeguatamente bilanciate in considerazione dei cambiamenti generazionali e delle nuove esigenze umane, sociali, spirituali, culturali e pastorali dei futuri preti e religiosi.
Le Diocesi e gli Istituti di vita consacrata devono investire molto nel settore della formazione dei futuri preti se non vogliono restare, tra qualche decennio, senza alcun sacerdote o monaco in convento. Perché il rischio di restare senza preti locali, in tantissime diocesi, è una realtà dei nostri giorni, come pure il rischio che molti istituti vengano definitivamente chiusi è un dato reale.

Domenica 2 giugno 2002
Solennità del Corpus Domini

Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it

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