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Padre Antonio Rungi
Superiore Provinciale
antonio.rungi@tin.it

Crisi delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. 
Una via diocesana per tentare una soluzione


Comunicato stampa del Superiore Provinciale, Padre Antonio Rungi
Martedì
8 giugno 2004, ore 10,00


I dati parlano chiaro: i giovani sono poco propensi a seguire la chiamata alla vita sacerdotale e religiosa. La crisi in atto parte da molto lontano e trova origini e cause prossime e remote, ma tutte conducono allo stesso discorso: i giovani non si sentono preparati ad affrontare una vita di sacrifici e di rinunce, compresi quelli relativi alla costituzione di una propria famiglia. 
Se il problema della crisi delle vocazioni è molto più avvertito al Nord e al Centro d’Italia, al Sud il discorso sembra alquanto reggere alle sfide di un mondo che cura poco la vita interiore.
Qualcuno ha parlato di una “via nazionale” per tentare una soluzione all’annoso problema delle vocazioni a livello generale; ma risulta altrettanto proponibile una specifica “via diocesana” per affrontare la questione. 
Non è più tempo di analisi, che se ne fanno abbastanza ovunque e dappertutto. E’ tempo, invece, di un progetto vocazionale che abbia effettiva incidenza sul tessuto sociale ed ecclesiale per avere risposte a medio e a lungo termine. Parlo di una “via diocesana”, ma si potrebbe parlare anche di una “via campana” per agganciare una questione a livello metodologico e di reale propositività. D’altra parte, ogni chiesa locale ha un suo piano vocazionale, come pure ogni Congregazione religiosa ne ha uno o più. Tutto questo per alimentare la speranza di nuovi arrivi tra i sacerdoti diocesani e regolari. Speranza spesso delusa.
La via diocesana al tentativo di soluzione del problema vocazionale sta nel considerare una serie di elementi caratteristici della realtà locale e territoriale.
Le vocazioni nascono, si sviluppano e si sostengono in un ambiente familiare sano, senza evidenti o nascosti conflitti tra i vari componenti. Conosciamo quanto stia a cuore della gente del Sud il valore famiglia e l’unità familiare. Purtroppo, anche in questa realtà territoriale, la famiglia attraverso una vera crisi. Non solo il limitato numero dei figli, ma anche le separazioni, le convivenze, i divorzi, l’infedeltà, la violenza, la povertà culturale e morale non favoriscono quel clima necessario per lo sviluppo di una vocazione. Non è raro il caso che qualche giovane seriamente intenzionato a fare un cammino vocazionale, si trova di fatto a non intraprenderlo o ad interromperlo di fronte a situazioni familiari particolarmente disagiate e difficoltose. Potenziando, a livello di chiesa locale, la pastorale familiare, possibilità maggiori per la nascita e lo sviluppo di una vocazione speciale dovrebbero effettivamente esserci, rispetto ad una situazione attuale. E bisogna dire che nella pastorale della famiglia, le singole diocesi stanno investendo molto in progetti e profusione di forze. I risultati, limitati per ora, sicuramente daranno maggiori frutti nell’immediato futuro. Per cui, anche il discorso vocazionale, che molto dipende dall’animazione pastorale delle famiglie, potrà, e questo è l’auspicio di tutti, avere una migliore risposta dei giovani, perché le famiglie saranno meglio preparate ad accogliere il dono non solo dei figli e della vita, ma anche il dono del sacerdozio o della vita consacrata.
Altro luogo, ove le vocazioni sono sostenute, è la comunità parrocchiale. Ove la parrocchia è luogo di preghiera, di costruttivi rapporti umani e sociali, di evidente segno di comunione, condivisione, servizio, la vocazione alla vita sacerdotale e religiosa nasce e cresce. Ci sono città intere che da anni non danno alle chiese locali nessuna vocazione. Ci sono parrocchie, una volta ricche di vocazioni, che oggi non costituiscono più il serbatoio per i seminari e per le scuole apostoliche. Segno evidente dei tempi che cambiano o segno evidente di una disaffezione a proporre la vita religiosa e sacerdotale come una scelta di vita importante per sé e per gli altri? O forse l’esempio non è più rispondente alle richieste di una generazione che al dire vuole una risposta con il fare? Certamente le parrocchie ricche, una volta, di vocazioni, oggi dovrebbero riprendere un discorso di promozione vocazionale più articolato ed incisivo. E ciò non solo in vista dei futuri preti, ma anche dei futuri frati. La varietà e pluralità delle vocazioni è una ricchezza per la chiesa e mai un impoverimento.
Un terzo luogo, a mio avviso, importante per un discorso vocazionale è la scuola, dai primi gradi fino all’università. In questi luoghi bisogna trovare il modo concreto per proporre seriamente un percorso vocazionale ai bambini, agli adolescenti, ai giovani e agli universitari della nostra realtà territoriale.
Certo, gli attuali percorsi formativi istituzionalizzati non permettono una proposta del genere. Ma la presenza dei docenti di religione cattolica nelle scuole statali dovrebbe essere uno stimolo in tale direzione. Una volta c’erano i preti ad insegnare e, in molti casi, rappresentavano anche un esempio di vita, di dedizione alla chiesa, di autentica formazione culturale e spirituale, che servivano da richiamo per eventuale scelta sacerdotale e religiosa. Oggi nelle scuole i docenti sono per lo più padri e madri di famiglia, giovani, con altrettante competenze e professionalità, ma figure diverse di scelta vocazionale. Giovani che non frequentano la chiesa e la parrocchia oggi, nella situazione scolastica in cui si trovano, non conoscono e non incontrano mai la figura del prete, quando prima era familiare e lo si incontrava spesso per molteplici motivi e in tante circostanze della vita. La visibilità del prete è quasi nulla in una società ove la visibilità ha un suo peso specifico e porta a scelte decisive in ogni campo. Anche da questo punto di vista bisogna interrogarsi. E non basta una trasmissione televisiva, o un sito Internet, un giornale o una rivista per rendere visibile e proponibile, come stile di vita, quella del sacerdote o del frate che sia. Bisogna andare oltre e valorizzare tutte le opportunità che la società odierna ci offre per dire chi siamo, cosa facciamo e che ci siamo anche noi in questa società.
Per cui, la via diocesana alla risposta della carenza di vocazioni passa attraverso una pastorale d’insieme, in cui tutti si devono far carico delle esigenze di tutti. E di questo gli istituti di vita consacrata, maschili e femminili, devono farsi carico più degli altri della situazione problematica del tempo presente e di investire maggiormente in promozione ed animazione vocazionale in sintonia con la chiesa locale e in stretta collaborazione tra i vari Ordini e Congregazioni. Non per il fatto che ancora oggi, nonostante gli anni che avanzano e le attività e presenze che restano incisive in tanti territori diocesani, ove i religiosi e le religiose operano, possiamo dire di stare bene o che effettivamente ci stiamo. Al contrario, dovremmo avere l’ansia per il futuro non solo dei singoli istituti, ma di tutta la vita religiosa e delle comunità ecclesiali. Oggi i sacerdoti regolari prestano a nome dei loro istituti o a titolo personale il servizio pastorale nelle comunità parrocchiali o in altri settori strategici della vita della Chiesa. Un’opera indispensabile in certi casi, un’opera suppletiva in altri, un’opera da riconsiderare in tanti altri ancora. Comunque, un’opera che fa guardare alla vita consacrata in un’ottica diversa, che è quella del servizio ecclesiale in sintonia con la vita comunitaria. E’ possibile conciliare l’una e l’altra esigenza; è possibile raccordare l’una e l’altra situazione. Ma molto dipende dalla formazione individuale dei singoli religiosi, se sono concettualmente aperti, da un lato, alla vita ecclesiale e, dall’altro, alla condivisione della vita comunitaria. Essere un buon religioso parroco è possibile, anzi è auspicabile in tutte le situazioni, ove alle spalle della stessa attività pastorale del parroco c’è una comunità religiosa e, magari, coincidente con lo stesso luogo di vita della comunità medesima. Non meno fattibile è una vita da buon religioso e parroco se si cura una parrocchia extraconventuale. Conciliare l’esigenza di una vita comunitaria sarà un po’ più difficile, ma non impossibile. Basta organizzare l’orario comunitario, sentirsi parte integrante di una comunità e non un cordone ombelicale da recidere quanto prima, per autointervento o per intervento esterno. La nuova dimensione della pastoralità dei religiosi passa attraverso la parrocchia, che, come hanno sottolineato i Vescovi italiani, è il fulcro di ogni esperienza religiosa, in cui tutti hanno il diritto di esserci, con i carismi di ciascuno. 
Nessuno è chiesa al di fuori della Chiesa, tantomeno i religiosi che sono una parte, e non secondaria, dell’unica famiglia di Dio. Capire questo è già iniziare un progetto di animazione vocazionale in uno spirito di comunione ecclesiale e condividendo, reciprocamente, le ansie delle chiese locali e degli istituti di vita consacrata.
 

Napoli 8 giugno 2004

Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it

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