Primo maggio:
l’annuale festa del lavoro
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Comunicato
stampa del
Superiore Provinciale, Padre Antonio Rungi
Sabato 1
maggio 2004, ore 12,00
L’annuale festa del lavoro del primo maggio ripropone drammaticamente la
situazione della mancanza di lavoro in Italia ed in altre parti del
mondo, soprattutto nei vari Paesi del Sud. Per lo più si tratta di
giovani che, nonostante titoli di studio e la buona volontà non riescono
ad inserirsi nel mondo del lavoro. Ciò è causa di forti disagi sociali e
di conflitti familiari, a volte anche di gesti estremi come lasciarsi
morire e abbandonarsi a se stessi
Ad avvertire questo problema sono anche i lavoratori di alcune industrie
italiane, vedi, recentemente, l’Alitalia e la Fiat, che nell’arco degli
anni sono andate in crisi ed hanno licenziato molti operai ed impiegati.
Gli ex-lavoratori oggi vivono il dramma della impossibilità di andare
avanti, perché hanno una famiglia, hanno degli impegni economici che
devono assolvere con le varie scadenze, hanno figli piccoli e grandi che
necessitano di assistenza e di supporto economico, soprattutto se si
tratta di ragazzi in formazione e che vogliono continuare a studiare.
Sul territorio italiano, tranne qualche lodevole eccezione in alcune
zone, non si vedono segnali di ripresa, anzi la situazione sembra che si
aggravi sempre di più nei vari settori.
Le percentuali dei disoccupati sono elevate soprattutto nel Sud d’Italia. Il territorio delle regioni meridionali è assetato di lavoro
che non c’è, né sembra prospettarsi in futuro. Si ripiega sul turismo,
sull’agricoltura o su altre attività artigianali che non danno sicurezza, né prospettive serie per l’immediato futuro.
Da qui la fuga dei giovani dalle varie località dove è impossibile
trovare occupazione. Vanno via per cercare lavoro altrove, ma impoveriscono intere aree, dove pur è forte l’esigenza di una loro
presenza.
Penso al fenomeno dell’emigrazione ancora vivo nel nostro Paese, ma
anche del secolo scorso che ha portato in varie parti del mondo milioni
di italiani soprattutto del Sud.
Penso pure agli immigrati del Terzo e Quarto Mondo presenti oggi in
Italia in oltre un milione di persone, appartenenti a varie culture,
popoli e religioni.
Le migliori energie espatriano nelle grandi città o in località del Nord
e all’Estero. D’altra parte, qualsiasi persona, con il senso di
responsabilità, si attiverebbe in tutti i modi, onestamente, per trovare
lavoro ovunque.
E bisogna dare atto a molti giovani ed adulti che fanno scelte coraggiose in tale direzione di essere persone coscienziose e fortemente
motivate verso una personale realizzazione.
In coincidenza con la festa civile del lavoro, la Chiesa cattolica
propone in questa giornata significativa a livello mondiale un’icona di
grande rilevanza morale e spirituale: san Giuseppe Lavoratore. La liturgia di questa giornata è improntata a richiamare all’attenzione dei
credenti la dignità del lavoro umano nel contesto della Creazione e
della Redenzione.
La Chiesa al tema del lavoro, soprattutto negli ultimi anni, ha dedicato
pagine splendide, che suonano di incoraggiamento, apertura e speranza.
Dal Concilio Vaticano II all’ultima enciclica del Santo Padre Giovanni
Paolo II, su questo tema, la Centesimus annus, si è formato un corpus
dottrinale significativo e rilevante, al quale fare riferimento per
cogliere il messaggio cristiano sul lavoro in generale e sulla dignità
del lavoratore in modo speciale.
“La Chiesa che custodisce il deposito della parola di Dio, fonte dei
principi religiosi e morali, anche se non ha sempre pronta la risposta
alle singole questioni, desidera unire la luce della rivelazione alla
competenza di tutti, perché sia illuminata la strada che l’umanità ha da
poco imboccato. Per i credenti -ricorda il Concilio Vaticano II, nella
Costituzione pastorale sulla «Chiesa nel mondo contemporaneo» - è certo
che l’attività umana individuale e collettiva, con quello sforzo immenso
con cui gli uomini lungo i secoli cercano di cambiare in meglio le
condizioni di vita, risponde al disegno di Dio” (cfr GS, 43-44).
Mediante il lavoro l’uomo migliora le proprie condizioni di vita.
Lavorare oltre ad essere un diritto è anche un dovere inalienabile della
persona umana. Ma è necessario chiedersi: dove sta il lavoro oggi e
quali costi umani esso richiede qualora lo si abbia e lo si svolga?
Interessante a proposito quanto è scritto in una delle Encicliche
particolarmente adatte all’argomento: la Laborem exercens del 14
settembre 1981 a firma di Giovanni Paolo II.
“L’uomo deve lavorare -si legge nell’Enciclica- sia per il fatto che il
Creatore gliel’ha ordinato, sia per il fatto della sua stessa umanità,
il cui mantenimento e sviluppo esigono lavoro. L’uomo deve lavorare
riguardo al prossimo, specialmente per quanto riguarda la propria famiglia, ma anche alla società, alla quale appartiene, alla nazione,
della quale è figlio e figlia, all’intera famiglia umana, di cui è
membro, essendo erede del lavoro di generazioni e insieme coartefice del
futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia.
Tutto ciò costituisce l’obbligo morale del lavoro inteso nella sua ampia
eccezione” (LE,16).
C’è da chiedersi: come credenti cosa facciamo oggi, nei vari settori,
nella politica come nell’industria, perché il lavoro divenga accessibile
a tutti?
Mi auguro che tra i visitatori del sito, oltre al numero considerevole
degli occupati e disoccupati, ci possano essere anche dei bravi imprenditori che, guidati da spirito cristiano e disponibilità, possano
dare concretamente una mano per risolvere il dramma occupazionale in
Italia, guardando con particolare simpatia le nuove generazioni. Queste
considerano il lavoro, soprattutto nel Meridione, un miraggio talmente
lontano da non crederci neppure per un istante. Verso di esse abbiamo il
dovere morale di prestare tutti insieme la necessaria attenzione e cura
per ridurre progressivamente il fenomeno della disoccupazione nel mondo,
in modo da ridare dignità ad uomini e donne ed evitare grandi rischi
sociali come la delinquenza comune ed organizzata.
Napoli 1 maggio 2004
Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it
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