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Padre Antonio Rungi
Superiore Provinciale
antonio.rungi@tin.it

La Passione di Cristo. 
Il giudizio del teologo moralista
Antonio Rungi

Comunicato stampa del Superiore Provinciale, Padre Antonio Rungi
Martedì
20 aprile 2004, ore 8,15


Ho atteso qualche giorno per vedere al cinema La Passione di Cristo di Mel Gibson. Domenica scorsa, infatti, l’ho visto (anzi è più preciso dire non l’ho visto o l’ho visto parzialmente) per la prima volta e sicuramente anche per l’ultima. Si tratta, sicuramente di un capolavoro cinematografico, anche per gli effetti scenici e sonori, ma comunque è un film che lascia interdetti, come è stato assemblato. Sono circa due ore di continue violenze e spargimento di sangue, da far restare shoccati i cinespettatori. E, infatti, anche nel cinema dove l’ho visto, molti dei presenti (la sala ampia era quasi piena, nonostante che si proiettasse in contemporanea anche in altre sale adiacenti) o chiudevano gli occhi per non vedere, oppure si limitavano a sbirciare tutto ciò che era visibile senza provocare sofferenza in chi stava comodamente seduto in platea o in galleria. Sicuramente rispondente ai dati biblici e al racconto della passione, secondo i Vangeli ed i contributi successivi della pietà popolare o dell’esegesi, ma altrettanto un eccesso di immagini che rappresentano Gesù maltrattato in modo ossessivo, durante l’arresto, il processo, la punizione, la flagellazione, la condanna a morte, il viaggio al Calvario e soprattutto nel momento della crocifissione e morte. 
Pochi fotogrammi ti fanno riposare la mente e ti riportano ad un momento di serenità e sollievo, come i vari feed-back sulla vita di Gesù piccino o di Gesù che predica, che parla alla gente, che perdona all’adultera, che consuma l’ultima cena con gli apostoli, con la lavanda dei piedi ed altri richiami biblici.
Non conosco i motivi perché il registra abbia insistito molto sulle scene di violenza non solo dei Giudei, ma soprattutto dei soldati romani, che si mostrano nel film dei veri sadici, che si accaniscono contro Gesù Cristo, soprattutto durante la flagellazione. E’ uno sperpetuo vedere il corpo di Gesù, nel film, maltrattato e violentato in quel modo. Sicuramente egli durante la passione ha sofferto molto di più rispetto alla ripresentazione scenica che ne dà Mel Gibson nel suo capolavoro.
Al di là della veridicità di tutto il racconto filmico, ciò che mi è sembrato messo poco in risalto è l’aspetto spirituale della Passione di Gesù. Non emerge chiaramente la divinità di Cristo, ma piuttosto la sua umanità ferita, la sua debolezza nel corpo. Tutte le scene sono state studiate per mettere in risalto la sofferenza gratuita e fine a se stessa, manifestata da gente senza scrupoli nei confronti di Gesù. Una visione di odio insaziabile verso questo Maestro rifiutato dagli Ebrei, non riconosciuto come Messia, e ritenuto un bestemmiatore perché si proclamava Figlio di Dio, è espresso, in modo eminente, durante il processo. Si vede che nella sofferenza di Cristo, il popolo, i sommi sacerdoti, il potere costituito ne gode fino all’inverosimile. 
Nei vari carnefici che il regista usa nelle molteplici scene del suo film, compreso i romani, si nota una soddisfazione tale nell’offendere Gesù e nel produrgli sofferenza che rasenta la più depravata soddisfazione umana di godimento per la sofferenza di costui. Tanto da far ribellare apertamente, in più di qualche circostanza, qualcuno che grida “basta” a tanta violenza sanguinaria e distruttiva. Come il capo dei soldati romani, come il Cireneo che è costretto a portare la croce al posto di Gesù.
Musica, parole, voci, rumori, effetti sono tutti diretti a dare risalto alla figura di Gesù Cristo al centro dell’odio di quella gente. Scene da brivido, da dolori al petto, da pugni allo stomaco sono tante e tutte drammatiche. 
Ricordo alcune, come quella dello strappamento della pelle durante la flagellazione, della coronazione di spine, con la messa in testa del casco compresso, che fa sprigionare sangue dalla testa e dal volto di Gesù immediatamente ed abbondantemente, dell’Ecce homo, delle ripetute e rovinose cadute, della crocifissione, della morte in croce, della lancia che trafigge il costato di Cristo morto. Scene terribili che non ce l’ho fatta a vederle integralmente. In quella sala cinematografica la maggior parte della gente, bambini, giovani, adulti, maschi e femmine, erano tutti con le lagrime agli occhi e quando sono usciti dalla sala cinematografica erano quasi storditi, 
come quella sofferenza l’avessero subita loro direttamente. 
E di fatto ci si sente male se uno non è abituato a vedere scene di sangue, perché la persona 
di Gesù è intrisa di sangue dal volto ai piedi, segnata da ferite che parlano da sé e che emettono il plasma continuamente. Cose che ti costringono a tenere chiusi gli occhi per non vedere.
Sarebbe interessante conoscere quanti di coloro che sono andati in tutto il mondo a vedere la Passione di Cristo in questi giorni abbiano resistito davanti a simili scene ed abbiano visto tutto il film dall’inizio alla fine. 
Da qui l’interrogativo che sollevo: era proprio indispensabile insistere tanto sulla violenza sul corpo di Gesù, fino a costringere molti dei cinespettatori a non vedere di fatto l’intera opera d’arte? A mio modesto avviso si poteva e si doveva ridurre l’effetto scenico della violenza, perché dal cinema, dopo aver visto il film, si esce interdetti e non so fino a che punto maggiormente fortificati nella fede, per chi crede, o convertiti per chi non crede. 
Nell’uno o nell’altro caso si resta allibiti davanti ad un racconto filmico che non è altro che schiaffi, sputi, spinte, sangue, sofferenza, violenza, odio, cattiveria, offesa della dignità della persona umana, distruzione completa di un uomo nel suo aspetto fisico. 
Avrei preferito che pure si facesse vedere tutto questo, ma in termini meno cruenti e con effetti scenici meno dirompenti sulla psichiche della gente. Forse i bambini che assistono a questo film, se non sono abituati a vedere i film violenti in Tv o su Dvd, restano shoccati e probabilmente faranno anche sogni angoscianti durante la notte. 
Come dire, che se non si è preparati psicologicamente, se non si conosce il racconto della Passione, il film può causare seri traumi psicologici in persone sensibili e dal cuore tenero. Può anche causare una sofferenza fisica, che va oltre alla tensione nervosa, al dolore allo stomaco, alle fitte al cuore, alla paura ed al terrore. 
Impossibile ad esempio vedere alcune scene della flagellazione o la scena della crocifissione, con i chiodi che si conficcano nelle mani e nei piedi e una volta sistemato Cristo in croce, prima di fissare la croce nel buco fatto nel terreno, Cristo e Croce vengono sbattuti faccia a terra.
Riconosco le mie debolezze nella visione di scene del genere, anche perché la visione di tutto ciò che è sangue e sofferenza negli altri mi provoca angoscia, molto meno di quando ciò capita a me. Tuttavia, davanti a scene della Passione di Cristo, come sono state presentate da Mel Gibson c’è da soffrire, piangere, pensare, contemplare, arrabbiarsi, perdonare, ribellarsi. 
In poche parole, un misto di sentimenti che sfiorano la fede, ma che toccano più facilmente la rabbia e la ribellione verso coloro che hanno messo in Croce il Signore. 
Ecco perché, come tanti già hanno fatto osservare, questo film è molto più antiromanico che anti-ebraico, perché i protagonisti principali della sofferenza di Cristo sono proprio loro, secondo il racconto biblico e, oggi, secondo il film di Gibson. 
Ma dietro al racconto che è una descrizione dettagliata dei fatti che accaddero allora, che è il mistero della sofferenza, dell’amore, della donazione, dell’oblazione di un Dio fatto uomo, che solo chi ha fede può cogliere nella passione e morte in Croce di Gesù. Altrimenti, è un film che 
molti potrebbero classificare come un qualsiasi lungometraggio di storia in cui al centro c’è un uomo che soffre ed è condannato a morte ingiustamente, senza che nessuno si muova a pietà per lui. 
Invece, sappiano, al di là del terribile racconto della Passione di Cristo che fa Gibson nel suo film, che dietro a tale fatto storico si cela la salvezza 
del mondo, compiuta proprio da Cristo nel mistero della sua morte e 
risurrezione. 
Ed è singolare che il film si chiuda con la scena della sepolcro vuoto, della 
pietra libera ove era deposto Gesù e del lenzuolo progressivamente svuotato, 
che introduce all’l’inquadratura conclusiva di Gesù risorto, con le sembianze 
di un uomo normale. Una scena che ti risolleva dopo due ore quasi di visione 
sofferta di un film che ha fatto discutere e continuerà a far discutere in 
futuro. 
Cosa consigliare a chi, tra i pochi, che non hanno ancora visto il lavoro di 
Mel Gibson? Se siete forti di cuore e di stomaco potete anche rischiare di 
andare a vederlo; altrimenti è più conveniente che sulla passione e morte di 
Gesù in Croce è meglio meditarci con la vostra mente e la vostra sensibilità 
umana, nonché con l’immaginazione, la fantasia, magari supportati dai fatti 
raccontati dai testi sacri. Ognuno si faccia il suo film in testa sulla 
Passione di Cristo, perché sicuramente sarà produttivo di sentimenti di bene. 
La Passione di Cristo la rappresenteremo dentro di noi meno violenta, ma la 
caricheremmo di un significato spirituale e mistico, che il film non dà in 
modo chiaro. D’altra parte, come qualcuno ha potuto erroneamente fraintendere, 
la liturgia, la preghiera e la meditazione sulla Passione di Cristo non si è 
tralasciata di farla in chiesa per trasferirla nei cinema, dove è stata 
proiettato il film, ma è rimasta e rimane nei luoghi deputati a ciò, i luoghi 
sacri, quelli che meglio favoriscono il raccoglimento e il pentimento, molto 
più profondo, se è davvero nostra intenzione cambiare vita meditando la 
Passione di Cristo. Una meditazione e che non è solo rivolta alla sofferenza 
fisica, ma soprattutto ai grandi contenuti spirituali e dottrinali, morali ed 
etici che racchiude in sé da sempre e non perché siamo stati convinti a ciò 
dalla visione di un film. 
Potrebbero essere conversioni superficiali e momentanee dettate dall’emozione 
e dall’istante, che non durerebbero alla distanza, soprattutto se dovessimo 
cambiare radicalmente il nostro sistema di vita, accettando di buon grado la 
prova e la sofferenza per amore di Dio e facendoci carico delle sofferenze 
degli altri, nel silenzio più profondo come è stato quello di Gesù davanti a 
tutti i suoi crocifissori. Silenzio messo in evidenza, giustamente, dal film 
di Mel Gibson, che ha fatto parlare poco o niente Gesù, mentre ha fatto dire 
tutto alle percosse, al sangue, alle ferite, alla sagoma sfigurata dell’attore 
o del robot, che hanno rappresentato Cristo sofferente durante la Passione e 
la Morte in Croce.


Napoli 20 aprile 2004

Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it

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