Pace a voi uomini timorosi e paurosi di ieri e di oggi
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Riflessione
del Superiore Provinciale, Padre Antonio Rungi
Domenica
18 aprile 2004
Mai come in questo momento storico questo saluto di Gesù Cristo agli Apostoli, dopo la sua risurrezione ed apparendo ad essi nel Cenacolo, è particolarmente attuale ed apre il cuore alla speranza.
Quel “Pace a voi”, che si ripete nel testo del Vangelo della Domenica in Albis e che è oggetto di riflessione non solo in questo giorno del Signore ma sempre, ci è gradito ascoltarlo di nuovo in questi giorni, come se fosse lo stesso Cristo a pronunciarlo con la stessa carica di umanità e di certezza a noi uomini del terzo millennio, bisognosi di pace vera e duratura.
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato –recita il testo dell’evangelista Giovanni- mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi. .. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.
Gesù sceglie questo particolare saluto per presentarsi al gruppo dei discepoli in modo da incutere in loro serenità, gioia, speranza, ma anche per conferire ad essi il mandato della misericordia.
Non senza motivo, il Santo Padre, ha scelto la Domenica in Albis come la Giornata della Divina Misericordia.
Noi abbiamo bisogno di essere perdonati soprattutto da Dio, perché tutti siamo peccatori e chi è senza peccato scagli la prima pietra, se sente di poterlo fare in coscienza.
Abbiamo bisogno di essere perdonati dal coloro ai quali abbiamo fatto del male, forse anche per il troppo bene che nutriamo verso di loro. In un eccesso di benevolenza a volte si possono commettere errori più grandi dei momenti di severità o di autorevolezza. Non è sempre opportuno essere tolleranti e giustificare per amore ogni cosa. A volte, nell’amore, è richiesto che noi siamo capaci di correggere qualche errore di chi ci sta a fianco. E ciò non perché siamo migliori degli altri, ma perché abbiamo delle responsabilità. Certo sarebbe bello poter correggere i fratelli in errori se noi fossimo in una condizione di discreta perfezione interiore, in quanto l’esempio di vita trascina gli altri a fare la verifica di se stessi sul modello di comportamento onesto, o presunto tale, che hanno gli altri. Vedi Tizio, vedi Caio, come sono onesti, bravi, uniti, eccetera. Facciamo paragoni e confronti, ci mettiamo in discussione e alla prova, per saggiare fino a che punto siamo capaci di autocritica e di autostima. Forse anche in queste situazioni di confronti emerge la pochezza della nostra esistenza, che invece di guardare agli altri, assumendoli come termini di paragone, dovremmo guardare meglio dentro di noi e nel profondo del nostro animo e cuore. Se ci manca la pace dell’anima non possiamo neppure comprendere gli aspetti più superficiali di quel saluto, carico di speranza, che Gesù rivolge agli apostoli nel cenacolo, dove si erano ritirati e sigillati per paura dei Giudei.
Si sa che la paura, la mancanza di coraggio blocca qualsiasi iniziativa personale e comunitaria, blocca soprattutto un vero processo di pace interiore e sociale. Ma per avere coraggio è necessario possedere tutte quelle doti spirituali, psichiche ed umane, difficilmente riscontrabili in un uomo normale. In certe situazioni, si diventa eroi per caso o per davvero, perché si ha il coraggio di affrontare qualsiasi prova della vita e la stessa morte con rassegnazione e forza interiore. Di esempi di uomini coraggiosi ai nostri giorni e nei tempi passati ne abbiamo tanti e tutti di spessore elevato.
Questo coraggio di affrontare le avversità e le prove della vita lo attingono da quella pace dell’anima che solo chi vive a contatto continuo con Dio può possedere sempre e totalmente. Sicuramente anche per questi eroi arriva il momento della disperazione e dell’abbattimento, ma si tratta, davvero, di pochi attimi, perché chi porta Dio nel proprio cuore porta la pace e la serenità sempre e in ogni luogo.
Con questi sentimenti, anche l’animo più esacerbato e in difficoltà con se stesso con gli altri e con Dio si riappropria della pace, quella che solo Dio può e sa donare se ci poniamo sulla stessa lunghezza d’onda.
E questa lunghezza d’onda è sicuramente questa: non ci potrà mai essere pace vera e piena se non ci sarà misericordia sincera e sentita verso chicchessia, soprattutto verso chi ci ha offeso ed indignato di più.
Ripartire da questa pace personale ed interiore è il primo fondamentale passo verso una pace più ampia, che sapremo estendere ai luoghi della nostra quotidiana esistenza.
Gesù è esplicito a questo riguardo, Come lui è l’inviato del Padre per portare la pace all’umanità, noi, a nostra volta, siamo gli inviati di Cristo a portare la pace dentro e fuori di noi, diventando messaggeri di pace in ogni situazione reale, con la quale ci confrontiamo solitamente senza, magari, prendere posizione per non turbare l’apparente pace che potrebbe esserci.
Ritorna ancora una volta il motto della sapienza di un tempo “quiete, non movere”. In poche parole non toccare niente e nessuno se vuole vivere in pace con altri. Ogni tentativo o coraggio nel cambiare porta con sé uno scombussolamento interiore, che alla fine produce qualcosa o accelera il processo irreversibile delle situazioni che ristagnano da tempo, senza che nessuno intervenga.
Pace, allora, è sapere dire di no a chi ti educa all’odio. Pace è sapere comprendere che nel mondo la diversità non è sinonimo di intolleranza e di divisione tra persone, culture e popoli. Pace è sapere entrare nella logica dell’amore e della misericordia rifiutando ogni compromesso con culture e modi di pensare che predicano la discriminazione razziale e culturale. Pace, in poche parole, è sapersi calare nella storia di tutti i giorni e leggere il mondo con gli occhi di Dio, che per noi si è incarnato, ha sofferto, è morto ed è risuscitato. Ma non tutti sanno guardare con tali occhi, né cercano, umilmente, di mettersi in posizione da percepire almeno un riflesso di luce o un raggio d’amore da quegli occhi luminosi del Volto del Risorto, che sono sorgente di pace e si serenità solo fissandoli, brevemente per un istante.
Napoli 18 aprile 2004
Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it
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