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Profondamente tristi ed amareggiati, 
ma aperti alla speranza cristiana


Riflessione del Superiore Provinciale, Padre Antonio Rungi
Giovedì 15 aprile 2004


Questa è una giornata che è iniziata nel segno della morte e del dolore. La notizia della barbara esecuzione di Fabrizio Quattrocchi, il nostro connazionale, ucciso dai terroristi in Iraq, dopo essere stato sequestrato, ci lascia profondamente tristi nell’animo ed amareggiati per quello che sta succedendo in Iraq e nel Mondo. Fin dall’inizio della Guerra in Iraq sapevamo che le cose, per quanto potevano evolversi in termini positivi per la vittoria finale sul regime di Saddam Hussein, certamente non sarebbero andate bene nel futuro. Perché si sa che ogni guerra lascia strascichi che rimangono scolpiti nella mente della gente per anni e secoli. Così sembra essere oggi anche in Iraq. Nonostante la vittoria, l’arresto del dittatore Saddam, in Iraq non si vive in pace. Certo ci vorrà del tempo per rimettere a posto un paese bloccato da decenni da un regime totalitario che aveva minato profondamente la libertà ed aveva ingenerato una mentalità di guerra a tutto campo, le cui conseguenze si stanno pagando ora. Tutto quello che sta succedendo con i tanti morti di gente del posto o di militari italiani o di altri nazioni facendo parte della coalizione è un segnale evidente che il problema pianificazione e stabilizzazione dell’Iraq non è ancora risolto. E sicuramente questo sta avvenendo perché sia prima, durante e dopo la guerra in Iraq non si è imboccata la strada giusta per debellare un regime totalitario che minacciava l’intera umanità. A tale regime si è affiancato un infida azione del terrorismo internazionale che sta prendendo sempre più piede nel mondo. Certo sono gruppi di esaltati, di integralisti, di matti che stanno minacciando il mondo in ogni parte con un modo subdolo e inqualificabile per cui stiamo in guerra, ma non sappiamo con chi la stiamo combattendo. Non conosciamo il volto dei nostri nemici. Come non conosciamo il volto del gruppo terroristico, di guerriglieri, di una banda assassina, che ha sequestrato subito dopo Pasqua quattro nostri connazionali che stavano rientrando in Italia, non avendo trovato lavoro di vigilantes in quel luogo. Al sequestro già di per sé una cosa indegna e orrenda ha fatto seguito una vera e propria esecuzione di uno dei quattro, Fabrizio Quattrocchi, di Genova, ma originario del Sud, che aveva svolto il lavoro di panettiere, in famiglia, e poi per migliorarsi aveva seguito la strada dei Vigilantes. In Iraq c’era andato appena dopo Pasqua, con al sicura certezza di lavorare lì per un certo periodo e mettere qualche soldino da parte per sposarsi prossimamente. Invece del lavoro vi ha trovato la morte, una terribile morte, visto che è stato giustiziato da questa banda di criminali, che, come tanti altri del genere, non meritano di essere inclusi tra il genere umano. Neppure il tempo di eventuali trattative e l’ostaggio è stato eliminato senza motivi. Lo stesso messaggio in cui giustificano l’esecuzione per motivi politici necessita di essere capito fino a che grado di pazzia arrivano soggetti che non sono abituati a trattare con popoli civili e con nazioni democratiche. Sono barbari e basta, che non hanno attenuanti, anche in considerazione del fatto che è una minoranza rispetto ad un popolo che nutre altri e più umani valori, come è il popolo iracheno o sono i popoli che rientrano nel triangolo del mondo islamico. Non sarà facile educare alla pace e alla civile convivenza internazionale masse di persone che hanno come legge fondamentale la guerra santa, la lotta agli infedeli, la distruzione dell’Occidente, una cultura di morte ed un vile agire che non affronta de visu l’avversario che si sono costruiti. Dalle Torri Gemelle alle stragi di Madrid ad altri attentati terroristici in ogni parte del mondo è chiaro il discorso: siamo in guerra su ogni fronte e nessuno è più sicuro di uscire alla mattina e di rientrare alla sera tranquillo, ovunque egli sia. Anche l’aumentata vigilanza in Italia per prevenire attacchi terroristici ci fa pensare che non possiamo essere tranquilli, perché forse il nemico cammina a fianco a noi e sicuramente nelle tante città, ove per amore alla tolleranza, per apertura al pluralismo religioso, oltre ad accogliere persone serie e lavoratrici, abbiamo aperte le porte del nostro Paese a delinquenti e a terroristi, che operano invisibilmente in Italia o che si servono dell’Italia come base di appoggio. Fatti che sono noti a tutti e di cui l’opinione pubblica viene a conoscenza con puntuali informazioni della stampa o del Governo.
La morte del giovane Fabrizio Quattrocchi ci immette tutti nel discorso di una guerra che stiamo vivendo indirettamente, lontano dagli occhi, ma vicina nel cuore. La stessa morte dei nostri militari dello scorso anno a Nassirija ce la portiamo nel cuore, anche se per noi quei giovani caduti nel terribile attentato conto il nostro contingente di pace sono veri eroi ed hanno fatto onore alla Patria.
Il nostro pensiero in questo giorno, giovedì in Albis, ottava di Pasqua, va a tutti i nostri connazionali impegnati in varie parti del mondo per progetti di pace e non di guerra, per motivo di lavoro e non di sfruttamento. Va ai tre altri ostaggi italiani in Iraq e va anche a tutti i militari e civili che lavorano per la pace in quei terribili luoghi ove la guerra si fa sempre più evidente e pesante, in un contesto presunto di pace, dopo la caduta del regime di Saddam.
Ci rendiamo conto della difficoltà del momento che richiede da parte di tutti coesione, unità di intervento, rispetto delle regole, amore per la verità, capacità di dialogo, possibilità di incontrarsi anche con chi è prevenuto verso chiunque.
Noi abbiamo il dovere di ricostruire un tessuto sociale mondiale, ove è possibile vivere in pace, vivere nel rispetto delle opinioni altrui, delle religioni altrui. Ma questo rispetto non può essere preteso solo in un determinato emisfero del Pianeta, ma dovunque. Fin quando nel mondo ancora ci sarà la fame, la miseria, l’ignoranza, l’integralismo religioso, il nazionalismo esagerato, l’arrivismo personale, la primazia dell’economia sulla dignità della vita, degli interessi economici e politici su quelli umani e sociali a livello globale sarà sempre più duro costruire e gettare ponti di pace tra vari popoli e culture. E non basta aprire frontiere ed accogliere immigrati di altre nazioni o religioni per dimostrare a noi stessi e agli altri che siamo democratici, tolleranti e che interagiamo con chi è diverso da noi, è urgente pure che in questa nostra disponibilità ad accogliere ci sia la convinzione che non dobbiamo cedere, se crediamo fermamente a certi valori, di fronte a pressioni di qualsiasi genere. Non possiamo cedere a ricatti di carattere religioso, legislativo, morale ed altro che presenta al mondo occidentale un mondo culturalmente diverso da noi, che abbiamo il dovere di rispettare, ma abbiamo altrettanto il dovere di opporci ad esso se è motivo di disgregazione sociale, di lenta e costante infiltrazione di idee e modi di essere che sono la negazione della nostra cultura. Ecco perché che l’assassinio di un ostaggio italiano da parte di briganti iracheni ripropone alla nostra attenzione non solo la legittimità della guerra in Iraq (perché nessuna guerra è giusta), ma anche della legittimità di tanti Stati esistenti nel mondo di contrastare e lottare tutto un modo di essere e di vivere che non risponde al loro credo. Gli integralismi ed i totalitarismi non possono avere cittadinanza in un mondo ove la globalizzazione mette a contatto quotidiano di modi di vivere che sono diversi da una zona all’altra del Paese. Non si può massificare il mondo, ma lo si può rendere democratico, nel senso che, nel rispetto delle leggi di uno Stato civile, ogni cittadino di quello Stato può esprimere liberamente la propria idea, può muoversi e vivere come meglio crede. Lavorare in direzione di una democratizzazione del mondo è lavorare per una pace, che non sarà mai definitiva e duratura. Ci saranno sempre momenti di difficoltà e di tensione, anche con la perdita di vite umane e con la creazione di nuovi martiri, ma sarà sempre e comunque opportuno sposare la causa della pace. Come la sposiamo noi in questo triste momento della vita del nostro Paese con un ostaggio ( e speriamo che sia l’unico) ucciso dal criminali senza scrupoli. Vorremmo scendere in piazza e protestare la nostra rabbia ed il nostro dolore per quanto è accaduto. Ma contro chi manifestiamo o ci arrabbiamo se in Iraq non c’è neppure un governo ed un parlamento legittimamente eletto da quel popolo. Questa fase di transizione dal governo provvisorio messo su dai vincitori della guerra, deve essere accelerata per stabilizzare il Paese e far svolgere libere elezioni sotto l’egida dell’Onu. L’unica organizzazione che può e deve dire la sua parola anche in questo momento difficile che sta attraversando l’Iraq, ma anche l’intera umanità con il terrorismo che avanza e con le difficoltà che crescono ovunque nella gestione della causa della pace su tutta la terra.
Da oggi in poi il nostro compito, che non è quello di politici o di faccendieri, di esperti o consiglieri, ma semplicemente di cittadini che hanno a cuore le sorti del proprio paese e del mondo intero, è quello di pregare di più ed incessantemente perché il Signore illumini tutti a trovare la strada della pace e della riconciliazione ovunque nel mondo e non solo nell’Iraq, per la quale oggi il nostro cuore soffre un po’ di più, perché un figlio del popolo italiano è stato massacrato da gente senza scrupoli per un assurdo gioco al ricatto, in cui la vita di una persona viene barattata per ottenere vantaggi o concessioni che non si possono dare per nessuna ragione al mondo. Ecco perché oggi più che mai noi riaffermiamo il nostro amore per la vita contro coloro che amano la morte e sono seminatori di morte.

Napoli 15 aprile 2004

Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it

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