Noi uomini dalle facili promesse…
06
aprile 2004.
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Riflessione
Martedì
06/04/2004
Noi uomini dalle facili
promesse…che non manteniamo quasi mai!
La riflessione di questa giornata di Martedì santo verte su una tematica molto
cara a chi pensa di essere un uomo integro, fedele, capace di mantenere le
promesse. Parliamo, cioè, della fedeltà agli impegni assunti, ci soffermiamo
sulle promesse che siamo facili a fare con noi stessi, con gli altri e qualche
volta anche con Dio.
Partendo da lontano, dalla nostra prima e fondamentale promessa, quella
battesimale, ci accorgiamo, ogni giorno, quanto siamo incostanti nel mantenere
tali promesse fatte nel giorno in cui siamo venuti alla fede. Sì è vero,
allora, appena nati non avevamo capacità di intendere e di volere. Forse, in
tempi successivi, ci avremmo pensato bene ad accettare la fede dei nostri
genitori. Cosa che oggi avviene normalmente, visto che il battesimo dei
bambini viene rimandato, nelle famiglie cristiane, in tempi successivi. Ma
allora si usava fare così e la Chiesa ha sempre visto di buon occhio la prassi
del battesimo ai bambini. Si potrebbe disquisire sull’opportunità o meno di
continuare su questa strada, visto il crollo verticale, nei paesi tradizionalmente cristiani, della pratica religiosa, della preparazione
catechistica, dell’allontanamento della fede di numerosi gruppi di persone.
Sta di fatto che per noi che abbiamo ricevuto questo dono della fede che
abbiamo avuto da piccoli non ci pesa affatto. Anzi, l’aver i nostri genitori,
per convinzione o tradizione, scelto per noi, ci sta pure bene, ne siamo a
loro riconoscenti, perché ci hanno dato il cibo spirituale necessario per
alimentarci alle sorgenti delle grazia e del mistero pasquale di Cristo, morto
e risorto per noi. Siamo orgogliosi di essere cristiani e di appartenere alla
Chiesa cattolica. Si tratta di un santo orgoglio, di cui vogliamo andare fieri
anche oggi, ma con fatti alla mano e comportamenti coerenti con la fede
ricevuta.
Le promesse non si limitano a solo evento battesimale, ma a ben riflettere
sulla nostra esistenza umana, tutta la nostra vita è fatta di promesse
continue. Promettiamo di fare determinate cose, di vivere secondo le scelte di
consacrazione a Dio, di rispettare gli impegni che ci siamo assunti
liberamente ognuno per la propria condizione e vocazione. Papa, Vescovi,
sacerdoti, religiosi, fedeli laici, liberi o sposati, impegnati nei vari campi
del sapere e delle relazioni umane, della produttività e della redditività,
oppure nullafacenti e disoccupati. Tutti abbiamo quotidianamente un conto
sospeso con la nostra identità e la nostra specifica situazione. Verificare il
grado della nostra attendibilità è un dovere prima nostro e poi degli altri.
A tale proposito ci aiuta nella riflessione sul testo del Vangelo proposto
alla nostra attenzione e meditazione odierna. “In quel tempo, mentre Gesù era a mensa con i suoi discepoli, si commosse
profondamente e dichiarò: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi
tradirà”. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi
parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al
fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: “Di’, chi è colui
a cui si riferisce?”. Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse:
“Signore, chi è?”. Rispose allora Gesù: “È colui per il quale intingerò un
boccone e glielo darò”. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda
Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui.
Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”. Nessuno dei
commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che,
tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: “Compra quello che ci occorre
per la festa”, oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il
boccone, egli subito uscì. Ed era notte. Quand’egli fu uscito, Gesù disse:
“Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato
in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte
sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi
cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado
io voi non potete venire”. Simon Pietro gli dice: “Signore, dove vai?”. Gli
rispose Gesù: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più
tardi”. Pietro disse: “Signore, perché non poso seguirti ora? Darò la mia vita
per te!”. Rispose Gesù: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti
dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte”.
Nel testo, oltre al tradimento di Giuda che ha preso ormai la sua dirittura
finale, consumandosi di lì a poche rispetto al momento di cui parla il
Vangelo, quello appunto dell’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli, c’è
l’interessante dialogo tra il Divino Maestro e Pietro, al quale Gesù aveva, in
precedenza, affidata la guida della sua Chiesa, sul quale egli aveva investito
in fiducia e stima.
Ecco il passaggio più significativo di questo dialogo: ”Simon Pietro gli dice:
“Signore, dove vai?”. Gli rispose Gesù: “Dove io vado per ora tu non puoi
seguirmi; mi seguirai più tardi”. Pietro disse: “Signore, perché non poso
seguirti ora? Darò la mia vita per te!”. Rispose Gesù: “Darai la tua vita per
me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non
m’abbia rinnegato tre volte”.
Pietro è convinto di potercela fare per testimoniare la sua fedeltà al Signore
durante l’imminente passione e morte in croce. Si impegna a dare la vita per
il Signore, è convinto di questo, perché non aveva fatto i conti con la sua
fragilità e la sua debolezza umana, forse era ignaro di ciò che fra poco
avrebbe sofferto il maestro. Non era preparato allo scandalo della Croce, pur
avendo avuto modo di prepararsi ad esso perché Gesù ripetutamente aveva fatto
accenno a questa sua terribile ora. La stessa esperienza della trasfigurazione
sul Monte Tabor doveva essere un preludio a quello che Gesù avrebbe sofferto
per tutti noi. E’ proprio vero che nel momento della gioia ci dimentichiamo di tutto ciò che
è stato il dolore o potrebbe essere motivo di sofferenza in futuro. Dal nostro
orizzonte c’è una continua rimozione forzata di ciò che sa di dolore e
sofferenza, quando in realtà la nostra vita è essenzialmente dolore e morte,
come affermava qualche filosofo passato.
E’ Gesù stesso a guidare Pietro in un sapiente discernimento sulla sua persona
e sulle sue reali possibilità di far fronte ad una situazione delicata. Per
ora non sarai in grado, dice sostanzialmente il Signore, di testimoniare la
tua fede in me. Lo farai successivamente quando anche tu Pietro potrai
confessare la tua fede in me morendo martire a Roma. Si compirà, più tardi, la
promessa fatta dal primo degli Apostoli a Gesù nell’imminenza della sua
Passione e morte in Croce.
Ma questa esperienza dolorosa del rinnegamento di Pietro ci fa capire fino a
che punto possiamo contare sulle nostre forze se vogliamo essere fedeli a
nostri impegni. A ben ragionare e vedere possiamo contare poco o niente sulle
nostre forze. Basta considerare le tante volte che ci ripromettiamo di essere
più buoni, tolleranti, misericordiosi, disponibili, altruisti, sensibili,
generosi, fedeli, seri, e via dicendo, e basta poco per venir meno alle
promesse fatte a noi stessi, magari nell’intimo della nostra coscienza.
Diventa drammatica la situazione quando le promesse le facciamo agli altri,
pubblicamente, magari in un determinato periodo o in una specifica circostanza
(fosse pure prima delle elezioni, nel momento dell’attribuzione di una carica
pubblica, di una nomina, di una designazione, di un ufficio che andiamo a
ricoprire, ecc.). Non mantenerle significa perdere di credibilità, anche se
la gente è più buona di quanto si pensa e tende a giustificare, a capire e se
necessario anche a perdonare. In genere ci sentiamo in una grande famiglia. E
come nelle nostre famiglie naturali i genitori perdonano e giustificano i
figli se vengono meno ai loro impegni, perché partono da un amore sincero e
totalizzante, così in quegli ambienti ove, pur non essendo consanguinei,
circola un tipo di relazionamento improntato alla fiducia, alla tolleranza ed
alla copertura. Le corporazioni sono nate, nella storia, per coprirsi reciprocamente e
proteggersi dagli agenti aggressori esterni. Di questi esempi oggi ne abbiamo
tanti, a livello politico, sociale, culturale, economico ed anche religioso.
Nonostante gli evidenti errori e, a volte veri e propri misfatti, si
giustifica ugualmente il comportamento errato.
Se è vero che i panni sporchi si lavano in famiglia, è pur vero che di fronte
ad errori e sbagli madornali non si possono coprire neppure i propri cari.
Bisogna avere il coraggio di dire e dichiarare il proprio fallimento, a
qualsiasi livello, se le promesse fatte non sono state mantenute, pur avendo
tutte le attenuanti.
Tanto vale che ci impegniamo davvero poco nel promettere a Dio, agli altri e a
noi stessi. Tanto sappiamo che di lì a pochi attimi noi ritorniamo ad essere
sempre gli stessi. D’altra parte, non possiamo cambiare con una bacchetta
magica, né possiamo fare altrettanto nei vari campi dove siamo impegnati. Non
siamo attrezzati per fare i miracoli. Possiamo fare piccoli passi nel
rinnovarci personalmente e dare il nostro contributo per rinnovare gli
ambienti in cui viviamo.
Bandiamo da noi le grandi promesse, fossero anche quelle pre-elettorali o
pre-impegni personali importanti. Come pure via da noi l’illusione che la
nostra azione possa cambiare il mondo, forti dell’esperienza di un Pietro, ma
soprattutto dell’esperienza di Cristo, che nonostante il suo grande amore per
noi, il suo sacrificio sulla croce, la sua vita donata per noi, la nostra
umanità vive ancora immersa nel peccato, nell’odio, nella violenza, nella
falsità, nella menzogna, nell’arroganza, molto lontana dal messaggio di pace e
riconciliazione universale, che Cristo ha portato a noi nel mistero della
Passione, Morte e Risurrezione.
Napoli 06 aprile 2004
Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it
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