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La maternità premurosa di Dio e di quanti credono in Lui

24 marzo 2004.


Catechesi del giorno


 
“Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo grembo? Anche se vi fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai”.
Sono le parole della liturgia odierna, mercoledì della Quarta settimana di Quaresima, tratte dal libro del Profeta Isaia, proposto alla riflessione dei cristiani in questo tempo di preparazione alla Pasqua.
Due aspetti importanti da rilevare dal testo sacro: l’uno è lo scoraggiamento e la delusione da parte del credente circa un presunto abbandono o di una supposta dimenticanza di Dio; l’altro è la certezza che Dio non abbandona mai e nessuno.
Analizziamo le due prospettive: quella negativa e quella positiva; quella supposta da chi non crede e quella certa di chi ha fede e fiducia in Dio.
Lo scoraggiamento è quanto mai legittimo da un punto di vista umano, di fronte alle delusioni e alle sofferenze della vita. Quante volte utilizziamo l’espressione: mi sento abbandonato da tutti ed anche da Dio; nessuno mi pensa; tutti si sono dimenticati di me. Questo succede soprattutto dopo aver svolto un compito un ruolo importante, dopo essersi prodigato per il bene della famiglia, degli altri; dopo aver esercitato alcuni compiti, anche se non di prestigio. Questo abbandono e questa dimenticanza si avverte di più col passare degli anni, quando si è anziani e si è lasciati soli, senza affetto di qualcuno. Ma si sperimenta anche nella giovane età, specie dopo una delusione amorosa o affettiva, dopo il crollo di un’amicizia o di un rapporto di stima e fiducia reciproca. Sono esperienze dolorosissime che devono far riflettere prima di agire e prima di lasciarsi coinvolgere in toto nelle situazioni. Questa solitudine si avverte ancor di più nel momento della sofferenza, della malattia, della sfortuna, del crollo economico e finanziario, nella povertà e miseria materiale. Situazioni in cui si trovano sempre più persone di ogni ceto e condizione sociale. Ciò è dovuto anche al sistema sociale e relazionale in cui viviamo. Ci troviamo in un mondo dove una persona conta per quello che ha, piuttosto che per quello che è. La cultura dell’avere predomina su quella dell’essere. E’ un dato di fatto ed incontrovertibile. Bisogna fare i conti con questo sistema di pensiero, basato sul possesso dei beni, piuttosto che sulla identità personale e qualità soggettive. Si conta e si ha un peso, oggi, ed anche ne passato, perché si occupa un posto importante, si possiedono beni e denari, si ha un posto nella società. A ciò si aggiunga la visibilità delle cose che si possiedono, mediante l’uso sempre più invasivo dei media di ogni genere e si creano i miti della bellezza, dell’eleganza, della cultura, del successo, dell’economia, della politica. Caduta nella sfortuna, chi viveva, prima tale condizione, si ritrova solo ed abbandonato da tutti. Esempi del genere si sono registrati anche negli ultimi tempi e riguardano lo sport, lo spettacolo, la politica, l’economia, il giornalismo, ecc. Storie di tutti i giorni e vicende umane personalissime che, quando si indirizzano verso soluzioni drammatiche, fanno pensare e riflettere sul nostro modo di rapportarci ad altri in un mondo fatto solo di apparenze come quello presente.
C’è l’altro aspetto, quello positivo, che emerge dalla parola di Dio di questo giorno, ed è l’attenzione e la premura costante di un Dio, che qui si rivela come madre che non si dimentica mia di ogni suo figlio. E questa è una verità di fede è una certezza di carattere religioso e, se vogliamo, anche un sostegno psicologico che ci fa sentire sempre qualcuno vicino. Di fatto, da un punto di vista religioso, noi abbiamo la certezza di non essere mai soli, in quanto con noi ci sono almeno altre Tre Persone (la Santissima Trinità che abitano in noi) e che non ci abbandona mai. Siamo, come qualcuno affermava, sempre in quattro e mai da solo. Questa vicinanza di Dio, che sentiamo soprattutto nel nostro profondo ci fa affrontare la vita, le prove della vita, le sofferenze della vita, le delusioni della vita, che ci procurano coloro che ci sono vicini, con uno spirito nuovo, con lo spirito della “comunione” con la SS.Trinità. Ed è bello fare appello a simili espressioni bibliche, di eccezionale valore affettivo ed educativo, per capire quanto Dio ci sia vicino e quanto ci ami davvero: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo grembo? Anche se vi fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai”.
Noi siamo scritti nel cuore di Dio, il nostro nome è ben conosciuto da Lui. Lui sa di tutto quello di cui abbiamo bisogno. Sa che siamo fragili e ribelli, teneri e violenti, forti e deboli, decisi ed indecisi, affettuosi ed indifferenti. Ci barcameniamo tra esperienze e sensazioni diverse, perché siamo oscillanti come una fragile barca che attraverso un oceano in tempesta. In queste situazioni non facile mantenere la giusta direzione e seguire la bussola vera della nostra vita, che è la fede e la fiducia in Dio. Spesso ci scoraggiamo e vorremmo abbandonare tutto ed ogni cosa, vorremmo lasciarci andare e morire lentamente, senza ricercare motivazioni dentro e fuori di noi per farci continuare a vivere. Ma poi appare sul nostro cielo e nel nostro universo una stella cometa che, come i Magi, ci guida verso Betlemme per farci incontrare con Colui che è la sorgente della vita e della gioia senza fine: Gesù Cristo, unico salvatore dell’uomo ed unico mediatore tra Dio e l’umanità. Quel Cristo che per noi è morto e per noi è risorto e che ancora oggi ci ripete: “Io sarò con voi, sempre, fino alla fine del mondo”. Questa sicurezza è fondata sul mistero della Pasqua di Cristo, alla quale ci stiamo preparando con questi giorni quaresimali.
Come Dio è madre premurosa, anche noi siamo chiamati a condividere con Lui tali atteggiamenti nei confronti dei nostri fratelli. Essere attenti ai bisogni di qualsiasi genere di chi il Signore ha posto sul nostro cammino. E mi riferisco alle madri ed ai padri nei confronti dei propri figli; mi riferisco ai figli nei confronti dei loro genitori; mi riferiscono a quanti hanno responsabilità nella chiesa e nella società nei confronti dei sudditi e della comunità civile e viceversa; mi riferisco a tante altre situazioni in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità ed essere vigilante, attento, accorto, prudente, premuroso verso chiunque si trova nel bisogno o nella concreta impossibilità di vivere dignitosamente.
E’ questo il messaggio di una solidarietà umana, di un’attenzione particolare, di una affetto singolare che dobbiamo manifestare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle per far crescere dentro e fuori di noi una maternità e paternità vera, che caratterizza ogni vero uomo di questo mondo.

Napoli 24 marzo 2004

Padre Antonio Rungi
antonio.rungi@tin.it

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